Speciale


Stampa

Io vittima, mi sentivo quasi colpevole

Una ragazza, un gruppo di bulli, la solitudine

“Ero da sola, vicino a scuola, gli altri compagni di classe erano già andati via. Sono arrivati in dieci, ragazzi e ragazze.Qualcuno non lo conoscevo, non era della mia scuola e aveva più di 20 anni. Mi si sono messi intorno, per non farmi scappare.E hanno iniziato a spingermi. Volevo andare via ma ero allibita, non capivo, non sapevo cosa fare. Uno mi ha tirato addosso una cartella, pesantissima, con dentro non so cosa ma non erano libri.Sono caduta.Una ragazza ha provato a darmi un calcio ma non c’è riuscita perché mi sono rialzata, ce l’ho fatta. Poi da dietro mi è arrivata addosso un’altra cartella.Qualcuno mi ha fatto male a un braccio.Non so con cosa mi abbia colpito.Poi non ricordo. E’ durato poco, sono scappati.Ero sotto shock”. Così una ragazza di Milano, che ora ha 18 anni, racconta la sua storia di vittima di un gruppo di bulli. Ma questo è solo il “fatto più forte”, dice, l’ultimo, pochi mesi fa.

Non era la prima volta che lo stesso gruppo ti prendeva di mira?
“No, erano due anni che soffrivo. Tutto è iniziato quando avevo 16 anni.Ero un po’ grossa, mi prendevano in giro,sempre gli stessi, ragazzi di altri classi, più grandi, ma niente di che.Poi ho scoperto che non lo facevano solo con me.Mi dicevano cose che mi ferivano.Col tempo ho imparato a non prendermela più di tanto.Facevo fatica ma loro continuavamo.Nessuno mi difendeva,solo una volta un compagno ha provato a farlo,è stato carino,ma loro lo hanno mandato a quel paese.Poi dagli insulti sono passati alle mani.Una volta ero in cortile, da sola, mi hanno raggiunto in gruppo, sempre ragazzi e ragazze, mi hanno buttata a terra.Mi sentivo molto sola. Qualcuno a scuola sapeva che questo gruppetto andava in giro a dar fastidio, ma nessuno andava a dirlo ai professori. Un po’ per paura un po’ per non avere nessuno contro. C’era tanta indifferenza. E i professori? Non si accorgevano di nulla?”.

I mesi passavano e tu non sapevi cosa fare, ti sei confidata con qualcuno?
“Non l’ho detto a nessuno. Avevo paura. Raccontare tutto ai professori? Quel gruppetto mi avrebbe insultata anche per questo.Penso che anche altri ragazzi della scuola subissero le stesse prepotenze ma come io non ho parlato con loro loro non hanno parlato con me. Parlarne con i genitori? Avevo paura di deluderli perché una persona che si fa aggredire non è da ammirare, che pensassero fossi un’idiota.Ma comunque non volevo parlarne con nessuno.Sono stata malissimo.Non mangiavo o mangiavo troppo, per il nervoso”.

Quando hai deciso di parlare, di confidarti?
“I miei genitori non sono stupidi.Vedevano che c’era qualcosa che non andava,che qualche volta non volevo andare a scuola.che insistevo per farmi venire a prendere a scuola.Ero grande, non capivano perché.Inventavo scuse per non dire la verità. Poi una sera a casa ci siamo messi a parlare, mamma e papà mi facevano domande e io ho incominciato a rispondere, ma piano piano, non tutto in una volta. Poi però ho detto tutto".

Perché hai deciso di raccontare, di parlare, di ricordare?
“Ancora mi pesa ricordare anche se sto un po’ meglio perché mamma e papà mi sono molto vicini, ho più amici, da settembre vengo qui in ambulatorio al Fatebenefratelli perché ho deciso di farmi aiutare.Insomma,da quando ho parlato mi sento più tranquilla, più sicura di me.Per questo ho deciso di raccontare la mia storia. Se quando stavo male avessi visto in Tv o letto vicende di ragazzi come me che avevano deciso di parlarne, avrei avuto un pochino più di coraggio, perché è questo che mi è mancato.Avevo persone che mi stavano vicine ma ero io che mi sentivo distante dagli altri, quasi colpevole, poi di cosa non lo so”.

<<< Torna allo Speciale