Lo scorso 27 ottobre, a 60 anni, moriva Néstor Kirchner, penultimo presidente dell’Argentina e marito dell’attuale capo dello Stato, Cristina Fernàndez-Kirchner. L’improvvisa scomparsa di una figura particolarmente significativa, che seppe risollevare il Paese dalla gravissima crisi economica dei primi anni del millennio, ha suscitato imponenti quanto inattese manifestazioni di dolore: l’Argentina si è ritrovata unita a piangere la sua vedovanza.
L’ondata di affetto per l’ex presidente e di solidarietà per l’attuale capo dello Stato tradiscono tuttavia le molte incertezze aperte dalla morte di colui che, unanimemente, era ritenuto l’unico vero uomo forte del Paese.
Néstor Kirchner fu presidente dal 2003 al 2007. Ereditò un Paese in forte recessione, dove il 54% della popolazione viveva al di sotto della soglia della povertà. La sua ricetta fu opporsi strenuamente alle richieste del Fondo monetario internazionale, mantenere la valuta locale debole per rilanciare le esportazioni e, di conseguenza, il lavoro e la crescita economica. Nonostante alcuni scandali e l’accusa di abuso dell’uso della decretazione, rimase popolarissimo fino al termine del suo mandato, quando preferì non ricandidarsi e lasciare spazio a sua moglie Cristina, nota per le campagne in difesa dei diritti umani condotte da First Lady e da senatrice.
Prima della scomparsa di Kirchner, tutti davano per scontato che alle prossime presidenziali, nell’ottobre 2011, Cristina avrebbe reso il favore al marito che, ancora popolarissimo, non avrebbe avuto difficoltà a farsi rieleggere. Tale strategia ha ricevuto aspre critiche. Nel 2009, fece inoltre scalpore una dichiarazione all’Ufficio anti-corruzione, in cui i Kirchner ammettevano di essersi arricchiti del 158% in un anno. A entrambi è stata rinfacciata una gestione troppo personale e populistica del potere, e di aver chiamato nel governo troppi parenti e amici. I detrattori della coppia, che si annoverano tra le fasce più abbienti della popolazione, hanno per loro coniato il termine “dittatura K”.