NOI CREDEVAMO
di Mario Martone, Italia 2009 (01 Distribution)
Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Toni Servillo, Edoardo Natoli, Luigi Pisani, Luca Zingaretti, Andrea Bosca, Guido Caprino, Michele Riondino, Andrea Renzi, Renato Carpentieri, Ivan Franek, Stefano Cassetti, Franco Ravera, Roberto De Francesco, Luca Barbareschi, Fiona Shaw, Anna Bonaiuto, Francesca Inaudi.
C’è stata una “meglio gioventù” anche nell’Ottocento, soprattutto allora. Ragazzi comuni, alla periferia della storia, ma tutti dentro un grande sogno di indipendenza e libertà. Martone mette in scena la vita di tre di loro dal 1824 al 1862.
Nel Cilento Domenico, Salvatore e Angelo assistono alla brutale esecuzione dei banditi Capozzoli, promotori di una rivolta soffocata nel sangue dall’esercito borbonico. Lì decidono di consacrare la propria vita alla lotta per l’indipendenza dell’Italia. Il primo passo, qualche anno dopo, è l’affiliazione alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, poi Parigi dove conoscono la principessa Cristina di Belgiojoso e le prime missioni. Da lì, anche se hanno lo stesso ideale, pensano a metodi diversi per perseguirlo, e le loro strade si dividono. La loro vita sarà tragicamente segnata da cospirazioni, attentati, morti, tradimenti, attraversando – loro quasi spettatori al cospetto di imperatori, generali e “padri della patria - quei drammatici ed epici anni che portarono all’unità d’Italia.
“Noi credevamo”, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti, è un film “tragico, catartico – dice Martone - Una ricostruzione che toglie al Risorgimento, all'unità d'Italia, quell'aria imbalsamata in cui finora è stato tenuto”. Ne viene fuori un ritratto impietoso e doloroso dell’origine del nostro Paese, e probabilmente di molti dei suoi problemi attuali. Un Paese, come dice il protagonista, “gretto, superbo e assassino”. Martone dice che non è stato pensato come un film d’occasione (il 150° anniversario dell’unità d’Italia che si celebra il prossimo anno), né di aver “strizzato troppo l’occhio all’attualità”. Anche se poi riconosce che è “un'opera nata sull'onda dell'emozione per gli attentati dell'11 settembre. La figura di Mazzini può in effetti ricordare il terrorismo: gli stessi Marx ed Engels vedevano in lui un terrorista, comunque un uomo di cui non accettavano i metodi estremi. Un personaggio più vicino all'integralismo religioso che alla lotta armata stile Br: col suo essere religioso e mistico allevava in qualche modo dei martiri”. C’è sicuramente un rigore storico nella costruzione del racconto, a partire dal linguaggio. L’effetto finale, dobbiamo però ammettere, forse anche per colpa delle oltre tre ore di durata, è un buon film ma certo non entusiasmante.