Festival del Cinema di Roma


Stampa

Scorsese, la dolce vita e il cinema impegnato

Presentato il capolavoro restaurato di Fellini. In concorso Susanne Bier b

“Nella mia mente i film si dividono tra quelli fatti prima de ‘La dolce vita’ e quelli dopo. ‘La dolce vita’ ha rotto l'unità delle regole della narrazione grazie alla sua audacia. Ha cambiato la storia”. Parola di Martin Scorsese nel giorno in cui il Festival di Roma omaggia Federico Fellini in occasione del cinquantenario del film, restaurato dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con la Cineteca nazionale e con la Film Foundation di Scorsese stesso e proiettato questa sera all’Auditorium.

Giornata di temi importanti la terza del Festival. In concorso “In un mondo migliore” di Susanne Bier, difficile storia di formazione, e “Oranges and sunshine” di Jim Loach, su uno dei peggiori scandali della storia inglese recente. Fuori concorso la commedia operaia “We Want Sex” di Nigel Cole e il dramma della disabilità in “Il padre e lo straniero” di Ricky Tognazzi. Nella giornata anche il documentario su Benazir Bhutto alla presenza dei suoi familiari.

Molto cinema italiano, invece, nella giornata di domenica 31. In concorso “Gangor” di Italo Spinelli, tra gli eventi speciali “La scomparsa di Patò” di Rocco Martelliti tratto dal romanzo di Andrea Camilleri e l’incontro-duetto tra Margherita Buy e Silvio Orlando.

In concorso anche “Las buenas hierbas” di Marìa Novaro e “Poll” di Chris Kraus, fuori concorso “Let me in” di Matt Reeves e infine tra gli eventi speciali, in anteprima mondiale i primi 20 minuti di “Dylan Dog: dead of night” di Kevin Munroe.

WE WANT SEX
di Nigel Cole, Gran Bretagna 2010 (Lucky Red)
Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda Richardson, Geraldine James, Rosamund Pike

Dopo aver raccontato storie di donne anche in “L'erba di Grace” e “Calendar girls”, Nigel Cole torna con un film sulla lotta sindacale femminile contro l’industria automobilistica Ford alla fine degli anni ’60.

La storia, anzi i fatti narrati in “We want sex” risalgono a 42 anni fa ma sembrano estremamente attuali in tempi di dibattito sulla Fiat in Italia. In Inghilterra nel 1968, 187 operaie, addette alla cucitura dei sedili nello stabilimento della Ford a Dangenham, nell'Essex, lavoravano in condizioni insostenibili, con salari estremamente bassi e la qualifica ‘operaie non qualificate’. Quelle donne, stanche della loro condizione, entrarono in sciopero riuscendo con il loro protesta a far fermare la produzione. La lotta portata venne portata avanti con determinazione, coraggio, ironia, riuscendo a coinvolgere i sindacati ed il governo fino ad ottenere qualche anno dopo, per legge la parità di retribuzione. Leader del gruppo Rita O’Grady ( Sally Hawkins) dovette inoltre affrontare, insieme alle altre, l’opposizione degli uomini, le crisi familiari, senza mai perdere la determinazione.

''Mi piacerebbe che questa storia ricordasse anche alle donne di oggi che unendosi e combattendo insieme si possono ottenere risultati concreti - spiega Nigel Cole durante la conferenza stampa- Oggi ognuno pensa per sé, si è persa la fiducia nelle lotte unitarie, invece sarebbero un grande potere, soprattutto in un momento come questo. E' importante ricordare a tutti di non farsi mettere i piedi in testa, non accettare questi trattamenti, battersi per i propri diritti per quanto possono essere potenti le multinazionali. Se si crede in quello che si fa si può vincere''. Un’idea rafforzata dalla presenza a Roma di due delle vere ex operaie protagoniste dei fatti di Dagenham, Eileen Pullan, e Sheila Douglas: ''La nostra lotta è cominciata per avere una qualifica pari a quella degli uomini. Abbiamo fatto del nostro meglio, non avremmo mai pensato di ottenere tanto. Quando è arrivata la notizia del film all'inizio non ci abbiamo creduto. Abbiamo parlato a Nigel delle nostre storie, compreso l'aneddoto della manifestazione a Londra quando su uno striscione che non si era aperto completamente, invece di We want sex equality, si leggeva solo 'we want sex'”. Da questo episodio il titolo di questo ottimo film capace di raccontare la realtà con i toni del dramma ma anche della commedia. Capace di far pensare ed emozionarsi per le storie delle persone come sa fare sempre in modo straordinario il cinema inglese. Capace di raccontare la Storia e la cronaca di quella battaglia coraggiosa e difficile celebrando con ironia queste donne speciali. (J.S.E.)

IN UN MONDO MIGLIORE
di Susanne Bier, Danimarca 2010 (Teodora film)
Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen

Europa e Terzo Mondo a confronto nel nuovo film, "Haevnen. In a better world", “In un mondo migliore” della regista danese Susanne Bier candidato ufficiale della Danimarca all’Oscar e in concorso al Festival di Roma.

Da una parte abbiamo l'Africa, il Sudan e i campi profughi dove il dottor Anton (Mikael Persbrandt) lavora, cercando di salvare vite in mezzo alla violenza delle bande armate. Una volta tornato a casa nella tranquilla Danimarca di provincia la sua famiglia intreccia un'amicizia nata dalla frequentazione dei loro figli. Il suo, buono e arrendevole, che subisce i soprusi dei compagni di scuola, l’altro chiuso e violento che ha appena perso la madre. L'amicizia tra i due bambini mano a mano diventa un'alleanza pericolosa che mette a repentaglio la vita stessa dei due minori. Perché anche da piccoli si può diventare terroristi ed è difficile per le persone adulte e responsabili dare il buon esempio.

“Un mondo migliore” affronta temi importanti, mettendo a confronto due visioni del mondo differenti e nello stesso tempo racconta i rapporti interni alla famiglia. "E' un film che tratta temi molto seri come quello dei bambini – afferma Susanne Bier durante la conferenza stampa - e quindi bisogna creare un rapporto particolare con lo spettatore. Per la parte girata in Sudan abbiamo effettuato molte ricerche, avuto contatti con Medici senza frontiere”. Per quella girata nella nostra società che “pensiamo come idilliaca”, precisa la regista, “abbiamo voluto affrontare questo tema chiedendoci se questo mondo reale è veramente ideale e se questo vale anche per l'infanzia. Anche qui chi crede che un bambino possa fare del male? Ecco che tutto viene ribaltato quando il male produce l'effetto del male su innocenti. Noi pensiamo che il terrorismo venga dall'esterno ma in realtà può nascere da situazioni imprevedibili". Il film è bello ed intenso anche grazie all’interpretazione dei due bambini veramente molto bravi. Se ha un difetto è la lentezza delle sequenze,tipica di un cinema che viene dal nord, ma che si fa perdonare per la capacità di scandagliare situazioni e sentimenti di chi cerca rappresentare “un mondo migliore”. (J .S.E.)

ANIMAL KINGDOM
Di David Michod, Australia 2010 (Mikado)
Ben Mendelsohn, Joel Edgerton, Guy Pearce, Luke Ford, Jacki Weaver.

Nero, freddo e spietato. “Animal Kingdom” ci porta nei bassifondi Melbourne ad osservare una famiglia ‘cattiva’. Il film, definito dal 'New York Times' "la risposta australiana a Scorsese", presentato Fuori Concorso al Festival di Roma, ha vinto l'ultimo Sundance Film Festival.

Nella pellicola australiana sono davvero tutti molto cattivi. C'è lo spietato rapinatore Pope Cody in fuga, il suo amico 'Baz' Brown criminale che guarda al futuro, e il fratello minore di Pope, Craig Cody che spaccia droga e il fratello di quest'ultimo, Darren, che si fa strada ingenuamente con tutta la sua timidezza nel mondo del crimine. Poi c’è J.Cody. sedicenne, solo, dopo la morte della madre per overdose di eroina, che si trova costretto, lui che per ora sa solo rubare auto, a raggiungere tutta la sua famiglia. E poi c’è soprattutto lei, la terribile nonna interpretata da Jacki Weaver, monumento del cinema e del teatro australiano (tra i suoi film più famosi 'Picnic a Hanging Rock' di Peter Weir).

''Anche i criminali hanno paura, hanno tanta paura. E sono destinati a soccombere''. Recita la voce fuori campo ed il regista spiega che i criminali a cui si è “ispirato sono quelli degli anni '80 in quel periodo così particolare in cui c'erano bande molto violente che facevano rapine e parte della polizia era corrotta. Un periodo destinato subito dopo a tramontare''. E questi non hanno valori, sono spietati, uccidono e sono uccisi senza provocare emozioni o reazioni. Ma la vera chiave del film è sicuramente nonna Cody: ''Mi piaceva l'idea di questa donna molto pericolosa in mezzo a tutti questi omaccioni che ruotavano intorno a lei'' afferma David Michod. E lei diventa la vera protagonista. Lei è il motore, la fredda matriarca votata al male assoluto. Una donna capace di volere anche la pelle del proprio nipote se questo diventa all'improvviso un ostacolo. (J.S.E.)

ORANGES & SUNSHINE
di Jim Loach. Australia, Regno Unito 2009 (Icon)
Emily Watson Hugo Weaving David Wenham.

Jim Loach al suo primo lungometraggio colpisce nel segno e anche allo stomaco dello spettatore, con una storia vera degna del padre Ken, interpretata con commovente bravura da Emily Watson.

Metà degli anni ’80, Nottingham. Margaret Humphreys fa l’assistente sociale, ha un marito che la ama e che fa il suo stesso lavoro e ha due figli. Una sera viene avvicinata da una donna che dice di essere disperatamente alla ricerca di sua madre, alla quale è stata strappata da bambina per essere mandata in Australia, non da sola, ma insieme a centinaia di altri bambini. Margaret fa fatica a crederle, non vuole farsi coinvolgere, ma quando una delle donne che segue le dice di aver ritrovato il fratello da cui era stata separata da bambina e di aver scoperto che era stato mandato in Australia, Margaret non può più far finta di nulla. Comincia a fare ricerche e da un piccolo indizio scopre uno dei peggiori e più grandi scandali della storia inglese moderna: 130 mila bambini figli di famiglie indigenti deportati nei paesi del Commonwealth, e principalmente in Australia, dal 1920 al 1960. Avevano detto loro che i genitori erano morti, che sarebbero andati in un Paese pieno di arance e di sole, abbandonandoli in istituti, spesso alla mercè di soprusi e violenze. Ora Margaret è la loro unica e ultima speranza di ritrovare una madre che forse non c’è più.

L’intenso, seppur sembri statico, volto di Emily Watson ci accompagna in questa storia dura, coinvolgente, di persone con la vita spezzata, di pedofilia all’interno della Chiesa, di bambini a cui hanno rubato il futuro ma che sono stati costretti a diventare uomini, di speranza di ritrovare almeno quel brandello di passato che gli permetterebbe di vivere, finalmente. Loach racconta in maniera lineare, senza inutile epica o enfasi, confidando quasi totalmente nel peso della verità. Un ottimo esordio. (Sa.Sa.)