Questa è una sintesi della prima parte dell'undicesimo Rapporto di Sos Impresa "Le mani della criminalità sulle imprese". L'intero rapporto è consultabile sul sito confesercenti.it.
L’XI Rapporto di Sos Impresa Le mani della criminalità sulle imprese. conferma e rafforza una tendenza già emersa in precedenza riguardo il crescente condizionamento esercitato delle organizzazioni criminali di stampo mafioso nel tessuto economico del Paese.
Mafia SpA. Si conferma la prima azienda italiana, il cui fatturato è alimentato da estorsioni, usura, furti e rapine, contraffazione e contrabbando, imposizione di merce e controllo degli appalti.
Dalla filiera agroalimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, agli appalti, alle forniture pubbliche, al settore immobiliare e finanziario la presenza si consolida in ogni attività economica tanto che il fatturato del ramo commerciale dell’Azienda Mafia si appresta a toccare i 90 miliardi di euro, una cifra intorno al 7% del PIL nazionale, pari a 5 manovre finanziarie, 8 volte il mitico “tesoretto”. I commercianti, gli imprenditori subiscono 1300 fatti reato al giorno, praticamente 50 l’ora.
Il Rapporto descrive le modalità e i sistemi di condizionamento del libero mercato messe in atto dai sodalizi criminali più strutturati e agguerriti. Questi benché duramente colpite dall’azione delle forze dell’ordine e della magistratura, mantengono pressoché inalterata la loro forza e, per ora, la loro strategia: una scarsa esposizione, un consolidamento degli insediamenti territoriali tradizionali, una capacità di spingersi oltre i confini regionali e nazionali, soprattutto per quanto riguarda il riciclaggio e il reimpiego.
Uno degli elementi che colpisce con maggiore evidenza, dal Rapporto 2007 è l’estendersi di quell’aria, che potremmo chiamare della “collusione partecipata”, che investe il “Ghota” della grande impresa italiana, soprattutto quella impegnata nei grandi lavori pubblici. che preferisce venire a patti con la “mafia” piuttosto che denunciarne i ricatti. In questi casi il binomio paura-pagamento del “pizzo” non regge proprio.. Non ci troviamo di fronte un banchetto di verdura alla Vucciria di Palermo, o ad una piccola bottega della periferia di Napoli, parliamo di aziende quotate in borsa, con sedi a Milano e a Torino, con amministratori delegati che mai avranno contatti con i malavitosi e tra l’altro. con relazioni personali ed istituzionali che possono garantire la più ampia sicurezza. Eppure queste imprese pagano. Perché? Non c’è altra risposta convincente: perché conviene così!
“O’ Sistema”
I componenti delle organizzazioni criminali sono sempre più impegnati direttamente nella gestione delle attività economiche, per queste ragioni, a volte, limitano l’imposizione del “pizzo”, ovvero richiedono “somme” puramente simboliche, dal momento che sono maggiormente interessati ad imporre merci, servizi, manodopera o estirpare ogni forma di concorrenza ai loro traffici ai loro interessi. Ogni attività economica-imprenditoriale viene “avvicinata” dai “signori del pizzo” con il volto “conveniente” della collusione, piuttosto che quello spietato della minaccia, per evitare forme d’allarme sociale e di ribellione.
Il racket vive e cresce nella dimensione della quotidianità, si impone come fatto abitudinario entra nella cultura della gente e quindi dalle botteghe, dalle aziende, dei cantieri, degli studi professionali. Un “pizzo” che si propone per garantire non solo la tranquillità: “accusì vi facemo travagghiari in pace”, ma anche la sicurezza di luoghi e di persone, non poteva che tracimare; a tal punto che dalle botteghe, dai magazzini, si propaga all’intera vita sociale toccando banche, condomini, case popolari, e persino scuole e chiese. La richiesta del “pizzo” è diventata “soft”, ma non per questo meno opprimente e generalizzata. Paradossalmente più forti sono i colpi dati dalle forze dell’ordine, più pressanti diventano le esigenze di denaro da parte delle cosche che devono mantenere un alto numero di carcerati. Inoltre l’avvento dell’euro ha segnato un aumento dei costi facendo lievitare di non poco il prezzo da pagare. I soldi versati nelle “bacinelle” hanno superato abbondantemente i 6 miliardi di euro.
Un dato relativamente stabile nel tempo riguarda invece i commercianti taglieggiati che oscillano intorno ai 160.000, ben oltre il 20 % dei negozi italiani, sia pure con un fortissimo radicamento al sud. Dal quartiere Brancaccio di Palermo, dai quartieri bene del Vomero e dell’Arenella a Napoli, da Gela alla Locride, dall’Agro aversano al triangolo Andria.-Barletta-Trani, chiunque voglia fare impresa in queste aree deve fare i conti con la criminalità organizzata. Ma il pizzo è fenomeno diffuso innanzitutto nelle grandi città metropolitane del sud. In Sicilia sono colpiti l’80% dei negozi di Catania e Palermo.
Pagano il pizzo il 70% delle imprese di Reggio Calabria, il 50% di quelle di Napoli, del nord Barese e del Foggiano con punte, nelle periferie e nell’hinterland di queste città, che toccano la quasi totalità delle attività commerciali, della ristorazione, dell’edilizia. Si può affermare che in queste zone a non pagare il “pizzo” sono le imprese già di proprietà dei mafiosi o con cui essi hanno stabilito rapporti collusivi e affaristici.
LA MAPPA DEL PIZZO
(vai alla carta d'Italia con la geografia del taglieggio)
Regione |
Commercianti coinvolti |
% sul totale |
Zone rosse |
Zone gialle |
Zone grigie |
Sicilia |
50.000 |
70% |
Palermo- Trapani- Agrigento- Caltanissetta- Catania- Messina |
Enna- Siracusa- Ragusa |
|
Calabria |
15.000 |
50% |
Reggio Calabria –Vibonese Lametino |
Cosentino e Crotonese |
|
Campania |
40.000 |
40% |
Province di Caserta - Napoli - Salerno |
Avellino- Benevento |
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Puglia |
17.000 |
30% |
Bari- Nord barese- -Foggia Salento |
Brindisi Taranto |
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Basilicata |
1.000 |
10% |
|
Metapontino- |
Melfese |
Lazio |
6.000 |
10% |
|
Litorale sud di Roma Basso Lazio |
|
Abruzzo |
2.000 |
10% |
|
|
Area metrop. Pescara – Chieti - Vasto |
Lombardia |
5.000 |
5% |
|
|
Mi Sudovest- Brianza - Varese |
Piemonte |
2.000 |
5% |
|
|
Torino - Pinerolo - Val Susa – Val D’Ossola |
Emilia Romagna |
2.000 |
5% |
|
|
Modena Bologna Riviera Romagnola |
Altre |
20.000 |
6% |
|
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Marche meridionali |
Ieri il pizzo, oggi Mafiopoli
I precedenti Rapporti di solito si concludevano con la ricostruzione delle mappe del racket. Il “pizzo” vissuto e quello raccontato riguardava piccoli imprenditori, commercianti, artigiani vessati dalla criminalità organizzata. Storie drammatiche di persone sole, che per paura o perché questa era la“normalità” pagavano la “mesata”, cedevano agli esattori del pizzo per far passare “buone feste” ai picciotti.
Oggi il panorama assume contorni nuovi, sui quali è bene fare luce. Ci troviamo di fronte una realtà complessa con diverse sfaccettature. Da un lato ci sono i piccoli negozianti, i giovani che vogliono aprire un’impresa, le botteghe sulle strade, i banchi al mercato che, a Palermo, a Catania, a Reggio Calabria prima o poi saranno avvicinati dai signori del pizzo che gli vorranno imporre le proprie regole. Un mondo a parte sono le attività commerciali, le imprese di proprietà dei boss: ieri pochi, oggi tanti, con le loro vetrine sfavillanti nei corsi principali di molte città del sud, ma non solo. Infine ci sono quelli che corrono dal mafioso perché si vogliono mettere “in regola. Si tratta per lo più di grandi imprese che scendono a patti per “quieto vivere”, quasi a sottoscrivere una polizza preventiva. perché la connivenza rende più forti rispetto la concorrenza, perché per stare dentro certi mercati bisogna fare così, o semplicemente perché è più conveniente. Nel cantiere sotto controllo mafioso si lavora e “basta”, i diritti sindacali non esistono, le norme di sicurezza sono un optional.
Si determina un nuovo sistema di relazioni economiche in cui il “pizzo” surroga la tangente, la collusione rimpiazza la corruzione, quello che in tangentopoli era un sistema di arricchimento personale, oggi diventa Sistema di potere tout court. ‘O Sistema, appunto. Non può sfuggire a nessuno però che quando a pagare sono le grandi imprese si produce una distorsione ancora più grande non solo del mercato, ma di ogni ambiente della vita sociale e culturale di un territorio, con gravi danni per la stessa democrazia.