PASSIONE

di Sandro Calice

PASSIONE

di John Turturro, Italia 2010 (Istituto Luce)
James Senese, Fiorello, Massimo Ranieri, Lina Sastri, Peppe Servillo, Peppe Barra, Pietra Montecorvino, Raiz, Fausto Cigliano, M'Barka Ben Taleb, Max Casella, Gennaro Cosmoparlato, Patrizia Lopez
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Una corda tesa, come quelle dove si appendono i panni ad asciugare fuori dalle finestre nei bassi, tra “Carmela” interpretata da Mina e “Napul’ è” di Pino Daniele. In mezzo, sulla corda, pezzi di storia della musica, napoletana e per questo mondiale, raccolti, stesi al sole e raccontati da un americano innamorato di Napoli.

La “Passione” di Turturro per Napoli, racconta lui stesso, è nata quando Francesco Rosi gli mise in mano “Questi fantasmi” di Eduardo. Per questo quando gli hanno proposto questo film, un documentario dentro la musica napoletana, Turturro (talentuoso attore, feticcio di Spike Lee e dei fratelli Cohen, innamorato della musica, tre film come regista: “Mac”, Illuminata” e “Romance and Cigarettes”) ci ha messo poco ad accettare. Ha studiato, si è fatto guidare da esperti, ha ascoltato centinaia di canzoni, ha incontrato gli artisti, e alla fine ha fatto la sua scaletta, le quasi 30 canzoni che raccontano Napoli e la sua “Passione”. E sono canzoni riscritte, come ogni canzone immortale, ogni volta dall’artista che in quel momento la interpreta. Così “Era de maggio” tra le mani degli Avion Travel e di Misia diventa quasi un fado, “Comme facette mammeta” graffiata da Pietra Montecorvino sa di rap di strada, “O sole mio” attraversa il tempo da Sergio Bruni a M’Barka Ben Taleb, “Tammurriata nera” di Peppe Barra come musica multiforme e globale, e poi la profonda “Catarì” di Fausto Cigliano, la straziante “Passione” che dà il titolo al film, per voce e sax di James Senese, l’omaggio a Carosone con Fiorello, Max Casella e Turturro che sul Vesuvio ballano “Caravan petrol”, Enzo Avitabile e i Bottari, il salto dal “Canto delle lavandaie del Vomero” del 1200 al dub di “Nun te scurdà” con Almanegretta e Raiz, come se il tempo non fosse passato.

Turturro cerca di stare lontano dai clichè e dai luoghi comuni, sebbene Napoli sia (anche) tutta un’enorme luogo comune. E cerca di raccontare quanto la musica sia vitale per un popolo che in fondo sembra avere poco altro per essere felice, senza nascondere la realtà: anzi, c’è quasi sempre il contrasto violento tra la bellezza della musica e la disperazione dei luoghi. Lui, come regista e guida si limita a indicare la direzione, poi la strada la fanno, la cantano e la raccontano gli artisti. Era impossibile fare un’enciclopedia della musica napoletana in un’ora e mezza di film, né crediamo fosse questa l’intenzione di Turturro. Ci sono comunque assenze che pesano (Roberto Murolo, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Nino D'Angelo) e altre salutari, come il mondo della sceneggiata e quello dei neomelodici. Quella, però, che è una scelta fortemente voluta da Turturro, cioè l’assenza di un vero racconto, di un filo conduttore, la decisione di non seguire nemmeno un percorso cronologico, data l’universalità spazio-temporale di certa musica, rischia di diventare un limite, di rendere le splendide canzoni e i bravissimi artisti, tutti, una serie di videoclip messi uno dietro l’altro.