Democrazie sull’orlo di una crisi di nervi


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Instabilità in Belgio, Olanda e Svezia

Inevitabile confronto con l'estrema destra belgio_proteste_296

In Belgio, crisi politica e crisi di identità vanno a braccetto. Il sistema proporzionale ha favorito la frammentazione di una politica già divisa su base linguistica. Oggi sono presenti 12 partiti alla Camera e 10 al Senato. Da anni, il Paese di fiamminghi e valloni non riesce a darsi un governo stabile. Le elezioni del giugno 2007 hanno portato a 9 mesi di trattative, quindi alla nascita di 3 diversi governi, durati ciascuno alcuni mesi. Nel giugno 2010, a causa di contrasti su una legge sull’isola bilingue di Bruxelles, si è tornati al voto anticipato. Le elezioni anticipate dello scorso giugno hanno assegnato la maggioranza relativa alla N-VA, il partito che reclama la separazione delle Fiandre dal resto del Paese. Da allora, tre tentativi di formare un governo sono andati a vuoto. Ora la N-VA si è chiamata fuori dai giochi, e i dissidi si sono inaspriti al punto che anche i francofoni parlano di secessione. L’ex premier Leterme guida un governo incaricato di gestire gli affari correnti. La crisi è tale che alcuni organi di stampa hanno ipotizzato l’abdicazione di re Alberto II, unico collante dello Stato.

I Paesi Bassi hanno un sistema proporzionale, con 10 partiti in Parlamento. L’ultimo voto ha premiato il Pvv, partito anti-islamico di estrema destra, assurto a terza formazione. Oggi, liberali e cristiano-democratici costituiscono un governo di minoranza (52 seggi su 150) con l’appoggio determinante dell’estrema destra, destinata a dettare alcuni fondamentali punti dell’agenda politica. La nuova esperienza mette fine a una maggioranza anomala tra laburisti, cristiano-democratici e conservatori, nata nel 2006 davanti alla progressiva polarizzazione dell’elettorato e costretta a gettare la spugna per le insanabili fratture ideologiche tra i partiti che la componevano. La storia dell’Olanda moderna è dominata dai cristiano-democratici, alleati ora della destra, ora della sinistra. La formula si indebolisce lentamente finché, nel 1994, i cristiano-democratici rimangono tagliati fuori. Al governo va una sorta di “Grossekoalition” ante-litteram, con laburisti e liberali. Nel 2002, la coalizione perde la maggioranza a causa dell’emergere della lista di Pim Fortuyn, primo leader xenofobo olandese, ucciso poco prima delle elezioni. Il nuovo governo accomuna destra moderata e radicale, ma crolla dopo soli 3 mesi. Orfana di Fortuyn, l’estrema destra trova un nuovo leader in Geert Wilders, fondatore nel 2005 del Pvv.

Anche la Svezia, come l’Olanda, ha varato un governo minoritario. Alle elezioni di settembre, la coalizione di centro-destra del premier Reinfeldt ha ottenuto 173 seggi, due in meno di quanti servirebbero per governare. Naufragato il tentativo di accordo con i Verdi, l’esecutivo dovrà quindi cercare appoggi su ogni legge. Reinfeldt ha preferito dover affrontare un percorso a ostacoli, pur di tener fede alla promessa fatta in campagna elettorale di non allearsi con l’estrema destra. Il partito xenofobo di Jimmie Akesson ha per la prima volta superato lo sbarramento del 4%, ottenendo 20 seggi.