L'Unicef pensa a nuove strategie


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Povertà minorile, riguarda anche i Paesi ricchi

Intervista a Leonardo Menchini, esperto Unicef: la crisi economica mondiale colpisce i più deboli

di Bianca Biancastri

Neppure i Paesi ricchi sono immuni dalla povertà minorile. Secondo il rapporto Unicef del 2005, la quota dei bambini poveri è aumentata nella maggior parte dei Paesi sviluppati tra l’inizio degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila. Nonostante le buone intenzioni espresse a livello di istituzioni europee e nazionali, in Europa il problema della povertà minorile persiste tuttora e anzi in alcuni contesti tende ad aggravarsi come mette in evidenza il Rapporto 2008 del Social Protection Committee, organismo della Commissione europea.

Leonardo Menchini, Programme Specialist del Centro Ricerche Innocenti dell’Unicef parla del problema a Televideo.

Stiamo uscendo faticosamente dalla crisi economica globale, come ha influito questa crisi sulla povertà nei Paesi industrializzati per quanto riguarda in particolare i bambini?
“Sicuramente la crisi sta avendo effetti importanti sulle famiglie e quindi sui bambini in termini soprattutto di impatto sul reddito e comunque anche i tagli che stanno avvenendo alla spesa sociale porteranno sicuramente dei problemi anche all’accesso ai servizi e alla qualità dei servizi. Quindi il benessere dei bambini rischia di avere conseguenze negative più importanti da questa crisi economica. Questo magari può non emergere dai dati sui tassi di povertà: essendo tassi di povertà relativi può accadere che le variazioni tra gli anni pre-crisi e gli anni della crisi siano poco visibili. Quello che è evidente è che questa crisi sta avendo un effetto differenziato e colpisce comunque gli strati più poveri della popolazione e come sempre si sa i bambini sono tra le fasce più colpite dalle crisi economiche. L’Italia tra l’altro, sia prima della crisi e sicuramente dopo, nell’Unione Europea è uno dei Paesi che mostra i tassi di povertà monetaria più elevati. Questo è dovuto a vari fattori legati agli esiti del mercato del lavoro e al fatto che le famiglie anche non numerose, anche quelle con due bambini, hanno un rischio più elevato di povertà. Uno dei fattori che produce questo rischio è la bassa partecipazione femminile alla forza lavoro e quindi il fatto che ci sono pochi percettori di reddito all’interno della famiglia. Un’altra caratteristica essenziale della povertà in Italia è lo scarso effetto delle politiche sociali e dei trasferimenti pubblici nell’arginare gli effetti del mercato sulla povertà. L’Italia è uno dei Paesi in Europa e nel mondo industrializzato in cui il trasferimento pubblico alla famiglia ha effetti molto limitati nel ridurre la povertà”.

E cosa succede in altri grandi Paesi come gli Stati Uniti?
“Le statistiche diffuse finora mostrano un impatto della crisi sulla povertà, una povertà intesa tuttavia in un senso più ampio, non tanto la povertà monetaria ma il benessere diciamo multidimensionale dell’infanzia. Gli Stati Uniti, tra l’altro, sono uno dei Paesi dove la povertà ha uno dei livelli più elevati, un posto condiviso dall’Italia e in misura minore dal Regno Unito e da altri Paesi del bacino Sud del Mediterraneo. Gli Usa partono da un livello di povertà relativa piuttosto elevato e la crisi ovviamente non ha migliorato la situazione”.

Quali strategie nazionali ci vorrebbero per contrastare la povertà e l’esclusione dei bambini?
“Non esiste una strategia unica. Ovviamente partendo dalla povertà monetaria quello che è importante è che vi siano degli esiti più equi nel mercato del lavoro in termini di dinamiche salariali. Uno spazio importante è anche quello relativo alle politiche fiscali per le famiglie con i bambini. In questo caso si tratterebbe di guardare quello che avviene in altri Paesi in cui la fiscalità riesce a ridurre notevolmente il tasso di povertà dei bambini. Il Paese in cui la riduzione della povertà è maggiore grazie a deduzioni fiscali e a trasferimenti pubblici è l’Irlanda, anche il Regno Unito riesce ad avere un impatto molto importante di questo tipo di politica. Ma la Francia, la Germania, l’Italia insieme alla Grecia e al Portogallo sono i Paesi in cui questo tipo di intervento è più limitato. La Francia e la Germania sono tuttavia Paesi che stanno facendo molto per quanto riguarda il sostegno alle famiglie. Poi consideriamo che nei Paesi industrializzati siamo in una situazione abbastanza difficile, con la trasformazione demografica, l’invecchiamento della popolazione. In Italia ci sono timidi segnali di ripresa della fecondità. Ma i tassi ci indicano un futuro difficile. Insomma, aiutare le famiglie e anche fare in modo che il desiderio di fecondità delle coppie si realizzi è un investimento per il futuro. Diciamo che ridurre la povertà infantile significa anche ridurre le disuguaglianze nella parte più povera della distribuzione e investire nel futuro, ridurre i problemi . C’è uno studio dell’Oms che ha valutato che il costo delle disuguaglianze nei Paesi dell’Unione Europea è di circa il 15% della spesa sociale per cui i politici non dovrebbero guardare soltanto alle disuguaglianze, alla povertà come a un fenomeno a se stante ma dovrebbero guardare anche quali sono i costi per la società tutta intera .Per cui intervenire presto, è importante per evitare i problemi per il futuro e intervenire presto significa non soltanto sulle misure che incidono sui redditi ma anche attraverso i servizi, i servizi per la prima infanzia , offrire fin dall’inizio servizi alle madri che lavorano, servizi che ,se di qualità, possono contribuire a diminuire le differenze tra le classi più svantaggiate e le classi che stanno meglio”.

Noi parliamo sempre di povertà nei Paesi in via di sviluppo. Ma ci sono dei bambini che soffrono la fame nei Paesi industrializzati?
Sicuramente ci sono forme diverse di malnutrizione. Ci sono delle forme estreme di privazione, di povertà , penso ad esempio ad alcune famiglie di immigrati o alle popolazioni Rom che vivono nei Paesi ricchi che sicuramente hanno accesso a una dieta insufficiente e quindi è ciò che può essere definita fame. Un altro problema nei Paesi sviluppati, e anche in Italia, è quello di aumento della malnutrizione dovuta alla scarsa qualità del cibo, I bambini in sovrappeso stanno diventando un fenomeno che richiede un’attenzione da parte delle politiche sanitarie e sociali molto importante.
E’ anche possibile che l’accesso al cibo di qualità ovviamente possa essere impedito da una condizione socio-economica e dei redditi limitata. E’ un problema complesso che non va visto soltanto come un problema della scarsità di cibo ma anche della qualità del cibo,e di educazione alimentare.

Leonardo Menchini ha partecipato a Roma al seminario di studi “Per una strategia di contrasto alla povertà dei bambini e degli adolescenti” organizzato dall’Unicef Italia nell’ambito di un progetto più vasto realizzato grazie al contributo del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali nell’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale.