Il conflitto arabo-israeliano nei suoi aspetti simbolici, politici e culturali

Intervista a David Meghnagi david_meghnagi_296

Perchè ha scritto questo libro?
Il libro è parte di una trilogia in cui ho affrontato in una prospettiva interdisciplinare a) la genesi delle scoperte freudiane nei loro rapporti con il retroterra d’origine del fondatore della psicoanalisi (Il Padre e la legge, Marsilio 1992); b) i percorsi di rielaborazione del dolore e del lutto attraverso le generazioni (Ricomporre l’infranto, Marsilio 2005) e per ultimo c) il conflitto arabo israeliano nei suoi aspetti simbolici, politici e culturali. Si può dire che per quarant’anni non ho smesso di pensare ai temi che sono confluiti in queste tre opere che considerò fortemente legate anche se i temi affrontati occupano campi diversi del sapere. Il libro è parte di un processo di rielaborazione individuale e collettiva di vicende che hanno segnato la mia vita sul piano personale.

Quali sono le sfide future di Israele?
Le sfida più grande è di aprirsi un varco nel cuore dei popoli della regione, essere percepito come un’opportunità e non come un nemico. Ci vorranno decenni, ma bisognerà riuscirci . Gli europei possono dare una mano se smettono di impartire lezioni alle parti che si combattono, rivisitando i propri codici culturali e appaiono inadeguati ad affrontare la complessità dei problemi. Israele è un piccolo laboratorio in cui molti dei problemi che affannano l’Europa odierna sono stati sperimentati con anticipo, la questione della convivenza di culture diverse in uno stesso spazio minuscolo, la capacità di fare dell’immigrazione uno strumento di sviluppo e cambiamento, la ridefinizione del rapporto tra religione e modernità etc. Sono sfide aperte che non riguardano solo Israele.

Sottotitolo del libro è: Israele Stato ponte tra Occidente e Oriente. Spesso lo Stato di Israele è percepito, nel bene e nel male, come avamposto occidentale, una sorta di trapianto occidentale in Medioriente. Una visione riduttiva?
Israele è percepito dagli amici come dai nemici un trapianto dell’Occidente nel cuore dell’Oriente. Gli europei vi vedono una sorta di riparazione per le colpe della Shoah. Il mondo arabo e islamico un prolungamento del dominio occidentale sulla regione. Si tratta di una costruzione che falsa la realtà. Israele non è nata come atto di riparazione, è nata grazie alla lotta condotta dai padri del Risorgimento nazionale ebraico, dalla loro capacità di agire con intelligenza e lungimiranza politica. Se il mondo arabo non avesse scatenato una guerra di distruzione contro il nascente Stato di Israele, impedendo tra l’altro la nascita al suo fianco di uno Stato palestinese, la storia del conflitto arabo israeliano avrebbe preso una piega diversa. Israele contiene in sé i molti orienti e occidenti con cui la cultura ebraica ha interagito nel corso dei secoli. Gli ebrei fuggiti dal mondo arabo hanno ricostruito in larga parte la loro vita in Israele. Sono una parte integrante della realtà regionale. Sono venuti dai paesi confinanti. Come dovremmo definire gli ebrei di pelle nera etiopi che sono stati salvati a migliaia e per la salvezza dei quali il governo israeliano ha pagato un riscatto ad personam? Gli ebrei del mondo arabo erano minoranze oppresse, vittime di un colonialismo interno. Il loro esodo è avvenuto nel silenzio. A differenza dei palestinesi non erano una parte attiva del conflitto, non costituivano un pericolo interno per i loro paesi, talora vivevano migliaia di kilometri dalle aree del conflitto. Eppure sono state considerate collettivamente colpevoli. Dopo la fuga degli ebrei è cominciata quella delle altre minoranze religiose.

Lei parla del piccolo laboratorio israeliano, uno Stato che avrebbe sperimentato in anticipo molti dei problemi che noi viviamo oggi qui in Occidente: il generarsi di una società multiculturale, i flussi migratori e le politiche dell'accoglienza che ne conseguono. L'immigrazione come valore aggiunto. Il messaggio del libro è tutto rinchiuso nel proverbio ebraico che lei riporta: Grande non è chi vince sul nemico, ma veramente grande è chi riesce a trasformare il nemico in amico. E' questa la sfida?
Lo Stato di Israele è nato quattro anni dopo la conclusione della guerra mondiale in cui gli ebrei sono stati sterminati in ogni luogo. Non hanno fatto in tempo a dichiarare la loro indipendenza che hanno dovuto fronteggiare una guerra sanguinosa in cui hanno perduto la creme della società. Nonostante un secolo di guerre hanno conservato la loro democrazia, hanno sviluppato una società aperta con una stampa che fa invidia a molti paesi europei, il nostro incluso. La vera sfida è però vincere l’isolamento nella regione, aprirsi un varco nel cuore del mondo arabo, essere percepito come un’opportunità e non come un nemico da estirpare. Israeliani e palestinese hanno entrambi bisogno l’uno dell’altro. Questa è la vera grande sfida per la quale ci vuole saggezza e lungimiranza, soprattutto il sentimento della pietas verso il dolore proprio e altrui.

Nonostante i tempi bui e le difficoltà oggettive che il futuro può racchiudere il libro porta un messaggio di speranza. Contro la follia del mondo bisogna mantenere aperti i confini dello spirito.
In primo luogo non bisogna dire, né fare mai nulla di cui potersi vergognare. Le parole in politica sono azioni. Ci sono parole che curano e parole che contribuiscono a distruggere. Le parole vanno curate come le persone. Lo vediamo qui da noi oggi nel nostro paese. Il degrado della politica e della convivenza ha come sfondo la corruzione del linguaggio. Restituire alla parola la sua funzione terapeutica è una necessità politica e morale. Sono nato e cresciuto in un paese arabo che ho dovuto lasciare forzatamente dopo un sanguinoso pogrom, il terzo in appena vent’anni. La sofferenza può avere conseguenze devastanti, ma può essere anche la via per sviluppare l’empatia verso il dolore altrui. Conservare l’immaginazione sognante è una necessità per non perdersi e conservare la propria salute. Anche nelle situazioni più difficile, l’uomo ha la possibilità di scegliere.

(C. T.)