Nati oltre venti anni fa per accogliere le donne che hanno subìto violenza, i Centri Antiviolenza sono oggi presenti in quasi tutte le città. Nel 2008 è nata l’associazione nazionale D.i.R.e “Donne in rete contro la violenza”, che raccoglie 58 associazioni tra centri antiviolenza, case delle donne, case rifugio. Proprio in questi centri, da gennaio ad agosto 2010 le denunce sono aumentate in media del 20%. Una crescita -spiega la presidente Alessandra Bagnara- che non è segno di più violenza, ma di una maggiore consapevolezza delle donne.
Il dato, ci dice Bagnara, è stato evidenziato da alcune avvocatesse della Rete nazionale ed è in parte riconducibile alla nuova legge sullo stalking (reato introdotto nel 2009). Le donne hanno maggiori opportunità per denunciare perché ci sono altre fattispecie di reato che prima non erano previste.
E’ possibile mettere in atto una qualche forma di prevenzione contro la violenza sessuale? Esistono iniziative d’informazione, a partire dalle adolescenti, nelle scuole?
Ci troviamo di fronte a una situazione sicuramente non omogenea, non definita. Tutto quello che viene fatto a livello di prevenzione, d’informazione, di approfondimento della tematica è lasciato alla libera iniziativa dei Centri antiviolenza, delle amministrazioni e, per quanto riguarda la scuola, occorre incontrare l’adesione e l’approvazione del consiglio d’istituto. Noi facciamo formazione nelle scuole, tra le forze dell’ordine, servizi sociali, asl, anche se siamo sottopagate perché la nostra professionalità non è riconosciuta. Sono appena stata a Pisa, dove ho fatto formazione per la Scuola Interregionale delle Polizie municipali di Emilia Romagna, Toscana, Liguria proprio sulla violenza di genere, unendo il mio duplice ruolo, perché io sono presidente di Linea Rosa, presidente dell’associazione nazionale D.i.R.e e sono vicecomandante della Polizia municipale di Ravenna. Avevo già attivato alcuni corsi di formazione per gli agenti di polizia municipale, spiegandone l’importanza perché noi siamo davanti alle scuole, perché i vigili informatori danno le residenze quindi entrano in casa delle persone.
Nelle scuole, in particolare, che cosa si fa?
Abbiamo fatto tanto, a partire dalle materne fino alle superiori. A seconda della fascia di età, sono stati calibrati progetti diversi, a cui abbiamo affiancato anche progetti per le insegnanti. Parlo sempre della nostra esperienza locale. Come ho detto prima la situazione non è omogenea ed è lasciata all’organizzazione, alle disponibilità locali.
Come accennato prima, possiamo dire che l’introduzione del reato di stalking ha favorito l’aumento delle denunce da parte delle donne?
Sì, anche da coloro che prima non vedevano come reato quello che stavano subendo. Adesso però stiamo aspettando di vedere cosa succede nell’applicazione, perché a noi non mancano le leggi, ma manca la certezza della pena, la celerità del provvedimento, l’esecutività della sentenza. Questo fa perdere fiducia nella giustizia. Non è neanche necessario aumentare le pene, cominciamo ad applicare e a far rispettare quelle che ci sono. Anni fa abbiamo fatto un’analisi sul reato di stupro, dopo la legge 66 del 1996 sulla violenza sessuale. Non c’è stato un tribunale che abbia applicato con integrità la violenza di gruppo, che prevede pene molto alte. Si è andati sempre a cercare qualche attenuante, come se si avesse il timore di applicare pene che siano esemplari.
La violenza si esercita in famiglia più che altrove. Come si può riconoscere il “mostro”? Ci sono dei segnali che possono mettere in allarme?
La violenza familiare ha delle caratteristiche. Solo in casi eccezionali non segue queste modalità. Di norma si presenta in modo ciclico e in maniera progressiva. Non bisogna sottovalutare lo schiaffo, lo spintone, la denigrazione. Ci sono delle situazioni che le donne faticano a riconoscere come violenza, magari per retaggi culturali. Non è detto che se mio padre si comportava in un certo modo io devo accettare che mio marito si comporti nella stessa maniera e che quindi io non possa uscire, frequentare amici, che non possa decidere cosa indossare. Questo deve essere chiaro per tutti, adolescenti e adulti. Nei casi di violenza familiare ci sono sempre delle avvisaglie. Bisogna fare in modo che le donne, le ragazze sappiano che è una cosa che può accadere, che non se ne vergognino e sappiano dove potersi rivolgere. Ecco perché i Centri antiviolenza sono molto importanti. Sono i luoghi dove le donne possono tra virgolette “denunciare”, possono prendere coscienza senza dover procedere fino a quando non si sentono pronte. E’ importante che si sappia che viene mantenuto l’anonimato, che non scatta alcuna segnalazione alla procura, ai servizi sociali, perché c’è la paura di perdere i figli, di creare problemi al marito o al compagno. Non dobbiamo nascondere che sono donne innamorate di questi uomini, con cui hanno una relazione sentimentale, con cui hanno dei figli.
Per concludere, Alessandra Bagnara lancia un allarme. Alcuni Centri antiviolenza stanno chiudendo, ci dice, come quelli di Firenze, Cosenza, Palermo non ha più i finanziamenti per le case rifugio. I finanziamenti vengono solo dagli Enti locali, non c’è nessun sovvenzionamento dallo Stato, mentre in Europa i centri antiviolenza sono tutti finanziati a livello statale.
(R. M.)