di Massimiliano Piacentini
“Da Rembrandt a Vermeer, Valori civili nella pittura fiamminga e olandese del ‘600”. E’ il titolo della Mostra che si apre domani al Museo del Corso, spazio espositivo della Fondazione Roma, e che resterà aperta fino al 15 febbraio 2009.
Cinquantacinque capolavori dell’arte pittorica dei Paesi Bassi del XVII secolo appartenenti alla collezione della Gemäldegalerie di Berlino – la più importante al mondo - saranno esposti per la prima volta a Roma e in Italia.
In primo piano, l’alto livello raggiunto dalla cultura pittorica olandese in un periodo contrassegnato dai grandi cambiamenti che investirono non solo la cultura in genere, ma la politica, l’economia e la religione. Nonostante le influenze indubbie che l’arte italiana ebbe in artisti come Rubens o Van Dyck, l’esposizione mette in evidenza radicalità e profondità delle differenze fra i Paesi Bassi e il resto d’Europa per quanto riguarda l’estetica e la realtà sociale. Fu la nuova situazione che venne a delinearsi per gli artisti olandesi dalla seconda metà del XVI secolo a determinare i cambiamenti nella produzione pittorica.
La frattura fra i Paesi Bassi del sud e quelli del nord, la costituzione nel 1588 della repubblica delle Province Unite, la penetrazione potente dei principi della Riforma protestante generarono una rivoluzione tutta olandese che investì l’etica come l’estetica. Il secolo d’oro dell’arte fiamminga e olandese segue il cambiamento della committenza: le grandi commissioni per gli edifici di culto erano finite, spazzate via dall’austerità calvinista e dall’ondata iconoclastica. Ancora oggi le chiese olandesi sono fatte di ambienti spogli ed essenziali.
I pittori devono quindi collocare le loro opere sul mercato, esattamente come avveniva per qualunque altra merce: è l’intera struttura del mondo dell’arte ad uscirne rivoluzionata. La produzione pittorica non è più legata al potere o alla religione, ora è la borghesia a divenire committente. Ed ecco allora svilupparsi la pittura d’interni domestici, i ritratti di gruppo con la rappresentazione delle attività quotidiane attorno al focolare domestico.
Diventano di moda i ritratti legati alla nuova borghesia, i temi storici, i paesaggi, le nature morte. Le tele, poi, diventano di piccole dimensioni per favorire la loro trasportabilità, la loro commerciabilità. La stessa quantità dei quadri prodotti fu straordinaria, come dice il professor Bernd Lindemann, direttore della Gemäldegalerie: “nei Paesi Bassi fra il 1600 e il 1700 vennero realizzati non meno di 5 milioni di dipinti”. Tra i capolavori che si possono ammirare, “Il cambiavalute” di Rembrandt, “Ragazzo che canta con flauto” di Frans Hals, un garzone che smette di suonare perché sorpreso da qualcosa che resta però invisibile agli spettatori, “La ragazza col filo di perle” di Jan Vermeer che rappresenta il capolavoro assoluto di un artista di cui sono note luminosità e limpidezza delle opere. E ancora, “Paesaggio con l’impiccato” di Rubens, “Ritratto di gentildonna” di Anton van Dyck, discepolo preferito di Rubens e pittore conosciuto in tutta Europa.
Questi, dunque, e altri capolavori per un’esposizione importante, portata nella capitale dalla Fondazione Roma, presieduta dal professor Emmanuele F.M. Emanuele e curata dal professor Bernd Lindemann, da martedì 11 novembre al 15 febbraio al Museo del Corso, via del Corso 320.