Dopo Cile e Argentina, un’altra democrazia sudamericana sembra orientata ad affidare il suo destino a una donna. La superfavorita è appoggiata da 10 partiti, ma avrà del filo da torcere: i moderati sostengono compatti il socialdemocratico José Serra, l’unico che sulla carta potrebbe insidiarla. E, poiché in Brasile la politica sembra ormai virare al rosa, la parte del “terzo incomodo” va all’ambientalista Marina Silva, che in molti avrebbero visto più adatta nel ruolo di candidata ufficiale di Lula.
Due volte divorziata, agnostica, di estrazione borghese, a 63 anni la vulcanica Dilma Roussef è tuttora nota soprattutto per i suoi trascorsi di membro di gruppi armati di estrema sinistra durante la dittatura militare (1964 -1985). In quegli anni vive per lo più in clandestinità, e partecipa attivamente allla lotta armata, guadagnandosi il nomignolo “Giovanna d’Arco dei sovversivi”.
Giovanissima, si trasferisce a Sao Paulo, dove continua l’attività contro la dittatura militare. Arrestata e torturata a lungo, Dilma viene condannata a 6 anni di reclusione (divenuti poi due in appello) e privata dei diritti civili per 18 anni. Uscita dal carcere, si trasferisce a Porto Alegre, dove riprende gli studi in economia e l’attività politica, non più nei gruppi armati, ma nell’unico partito di opposizione tollerato dai militari. Il ritorno alla democrazia la vede protagonista nel Partito democratico dei Lavoratori e impegnata nelle amministrazioni locali: prima nella città di Porto Alegre, poi nello Stato di Rio Grande do Sul.
Nel 2000, Dilma si avvicina al Pt di Lula. Nel primo mandato presidenziale di Lula, è ministro per l’Energia e, in tempi di frequenti black out, ideatrice del programma “Luce per tutti”, che ottiene discreti risultati. Nel Lula-II è il potente ministro dell’Interno. L’anno scorso, l’investitura ufficiale alle presidenziali viene formalizzata dal capo dello Stato in persona.