Speciale Venezia 67


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Balada triste de trompeta

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di Alex De La Iglesia. Spagna, Francia 2010 (Mikado Film)
Carlos Areces, Antonio De La Torre, Carolina Bang, Sancho Gracia, Juan Luis Galiardo, Enrique Villèn, Manuel Tafalle, Manuel Tejada, Gracia Olayo, Santiago Segura, Roberto Alamo, Fofito.


Si comincia con un irrefrenabile applauso dopo i titoli di testa, spaesati, a dire “ma dove siamo finiti?”. Ma poi…

Madrid 1937, è Guerra Civile. I ribelli fanno irruzione in un circo e costringono tutti i presenti a prendere un’arma e combattere. Il clown che fa il ruolo del Pagliaccio Triste prende un machete e fa strage di soldati. Sotto gli occhi di suo figlio Javier, che riesce a fuggire e quando lo ritrova in carcere si sente dire che la vendetta è l’unica cosa che può dare senso alla vita. Tempo dopo, negli anni ’70 verso la fine del del regime di Franco, Javier cerca di seguire le orme del padre, vuole fare il clown ma non fa ridere, è perfetto insomma per fare il Pagliaccio Triste. Trova lavoro nel circo di Sergio, clown bravissimo per lavoro, bestia disumana in privato. Purtroppo nel circo c’è anche la bellissima e spudorata Natalia, acrobata e donna di Sergio. Javier se ne innamora perdutamente e da quel momento in poi comincia la sua personale guerra contro Sergio. Due pagliacci nel loro ferocissimo duello all’ultimo sangue.

Tarantino si è divertito come un pazzo con questo film di De La Iglesia, regista che considera Alex Raymond, Stan Lee e Vàsquez i suoi padri spirituali e autore di film come “Azione mutante”, “Il giorno della bestia” e “La comunità”. Questo per dare la cifra. L’essenza del film, spiega De La Iglesia “è l’ansia e la voglia di vendetta che porta alla distruzione. L’unico modo per esorcizzarla è l’ironia, l’horror, il noir”. Generi che in effetti ci sono tutti nella “Balada triste de trompeta” (che è il titolo di una celebre canzone degli anni ’60), svolti in modo grottesco, gotico e barocco insieme, eccessivo, splatter, psichedelico, con citazioni che potrebbero andare da Tarantino stesso a Terry Gilliam e Tim Burton, con le opportune cautele. Un film politico, anche, perché - continua il regista - “è una vendetta contro tutte le stupidaggini che sono state fatte. C’è un inferno che non meritavamo ma che siamo stati obbligati a vivere: quando andavo a scuola ho visto pallottole nei negozi di caramelle. In quel momento era naturale. Il film è un modo per esorcizzare tutto questo, che non doveva e non deve più accadere”. Come tutti gli eccessi, però, dopo la sorpresa iniziale “Balada” rischia di stancare. Il punto è che, nel bene o nel male, alla fine qualcosa resta. E non è poco.