Siamo all’ultimo giro. Oggi Venezia 67 presenta gli ultimi tre film in concorso. C’è “La versione di Barney” di Richard J.Luis con Paul Giamatti e Dustin Hoffman. C’è il ritorno di Monte Hellman, che da anni non faceva film e che ha portato al Lido “Road to nowhere”, un thriller romantico con atmosfere alla David Linch che anche il presidente della giuria, Tarantino, ha voluto omaggiare partecipando alla proiezione per la stampa, in barba all’etichetta. E c’è, infine, il particolare triangolo amoroso di “Drei” del tedesco Tom Tykwer.
In attesa dei Leoni, continua l’assegnazione degli altri premi. Il Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani (Sngci) ha assegnato il Nastro d’Argento europeo dell’anno all’attrice Tilda Swinton per il film “Io sono l’amore”, per il quale è stato premiato anche Luca Guadagnino, nomination per il miglior soggetto. Premiato tra gli applausi anche Quentin Tarantino, al quale è andato il Nastro d’Argento per “Inglorious Basterds”, miglior film extra europeo dell’anno. C’è gloria anche per i nostri Roberta Torre e Ascanio Celestini: “I baci mai dati” vince il “Premio Brian”, mentre “La pecora nera” si aggiudica la X edizione del “Premio Fondazione Mimmo Rotella”.
Da un’intervista, intanto, apprendiamo come il direttore della Mostra, Marco Mueller, scelga i film per la rassegna: “La regola per scegliere un film da Leone d’Oro? Me l’ha data una volta un produttore hollywoodiano. E’ la regola del cavallo dei pantaloni e funziona così: se ti alzi da una proiezione e i pantaloni sono perfetti, con la piega in ottimo stato, questo significa che sei stato ipnotizzato dal film, che non ti sei mosso sulla sedia. Se invece cominci ad agitarti e alla fine delle due ore ti alzi con i pantaloni stazzonati, è evidente che il film non è poi stato così efficace”. E noi che immaginavamo chissà che cosa. LA VERSIONE DI BARNEY
di Richard J. Lewis. Canada, Italia 2009 (Fandango)
Paul Giamatti, Rosamund Pike, Minnie Driver, Rachelle Lefevre, Scott Speedman, Dustin Hoffman.
Barney Panofsky aveva tante cose da dire. Mordecai Richler, l’autore del romanzo da cui è tratto il film, stava collaborando alla sceneggiatura quando è morto nel 2001. Forse anche per questo Barney non ci dice tutto.
Barney è un produttore televisivo ebreo-canadese di successo, felicemente sposato con due figli. Quando un poliziotto pubblica un libro in cui rievoca un episodio tragico della sua vita, la morte del suo migliore amico Boogie, il cui corpo non è mai stato ritrovato, e per il cui presunto omicidio lui resta il principale sospettato, Barney decide di ricordare e raccontare il suo passato e la sua vita, almeno la versione che ha in mente lui. Lo troviamo così a Roma negli anni ’70, unico con un lavoro e due soldi in tasca di un gruppo di amici bohemiens, che decide di sposare Clara, bella, libera e infedele che non fa che ferirlo. Poi a Montreal, anni dopo, quando decide di sposare la bella, ricchissima e vuota “Seconda Mrs.P.”. Al suo stesso matrimonio, però, ha un colpo al cuore quando vede Miriam: diventerà la sua terza e ultima moglie, la madre dei suoi figli, l’amore della vita. Ricorda Barney, che ritroviamo infine solo. Ricorda ricordi sempre più sfumati. Ricordi di una vita che in fondo è stata migliore di quello che vuole raccontarsi, dell’amato-odiato amico Boogie, dei suoi dipendenti che lo adorano nonostante il suo carattere, del padre Izzy, forte e ottimista come lui crede di non essere, e di Miriam soprattutto, forse la cosa migliore che gli sia mai capitata. Ricorda, finquando avrà la forza di farlo.
Dopo l’adattamento del romanzo “Whale music”, Lewis ci riprova con questo suo secondo lungometraggio. E ne fa una commedia sentimentale nella quale i protagonisti sono perfetti, a partire dalla splendida interpretazione di Giamatti e della sua “spalla” d’eccezione Hoffman. C’è anche molta Italia nel film, dalle numerose scene girate a Roma, agli attori Massimo Wertmuller e Thomas Trabacchi, ai costumi di Nicoletta Massone, alla colonna sonora firmata da Pasquale Catalano. Una commedia a regola d’arte, nella quale si ride e ci si commuove, come dev’essere. L’unica perplessità riguarda non tanto il paragone con il romanzo (esercizio sempre inutilmente speculativo), quanto la resa della complessità del personaggio, mai veramente “politicamente scorretto”. Il centro del racconto diventa la sua struggente storia d’amore, invece che lui stesso. Ma forse Barney voleva dirci anche altro.