Oggi l’attenzione è tutta per un film fuori concorso, il “Vallanzasca: gli angeli del male” di Michele Placido. Ma in programma c’è anche il “Cirkus Columbia”, la prima guerra dei Balcani raccontata da Danis Tanovic, il documentario “I’m still here” di Casey Affleck e in concorso il duro “Essential Killing”, la fuga di un prigioniero afghano in Europa, di Jerzy Skolimowski.
I film di ieri
La lentezza sembra essere la cifra stilistica di molti film a Venezia 67. Una lentezza a volte poetica, spesso documentaristica, in qualche caso ridondante. Altri film spezzano il cerchio e regalano colore e movimento. Come le commedie, e come il cinese “Di Renjie zhi Tongtian diguo (Detective Dee and the Mystery of Phantom Flame)” di Tsui Hark oggi in concorso insieme all’intenso “Post mortem” di Pablo Larraìn e a “Meek’s cutoff” di Kelly Reichardt. Fuori concorso il “1960” di Gabriele Salvatores e l’Iraq di “20 sigarette” di Aureliano Amadei.POST MORTEM
di Pablo Larraìn
Cile, Messico, Germania 2010 (Funny Balloons)
Alfredo Castro, Antonia Zegers.
Storie minime, la grande Storia: spesso s’intrecciano, si influenzano, lasciano morti e macerie che fanno parte di entrambe. Come la vita di Mario in quel settembre 1973 a Santiago del Cile, i giorni del colpo di Stato, della morte di Salvador Allende, della Storia che cambia.
Mario Cornejo ha 55 anni e lavora in obitorio, dove batte a macchina i referti delle autopsie. E’un uomo gelido, come il marmo su cui si dissezionano i cadaveri. Non che non abbia emozioni, ma forse ha deciso che non può permettersele. L’unica a cui cede è la passione per la sua vicina di casa, Nancy, una ballerina di cabaret. Che di quell’uomo grigio non ricorda nemmeno il nome e lo chiama semplicemente “vicino”. Intanto tutt’intorno la Storia gioca le sue carte, e la mattina dell’11 settembre Nancy, i suoi amici e suo padre, attivista politico sostenitore di Allende, scompaiono. La loro casa distrutta. Mario è disorientato. All’obitorio cominciano ad arrivare centinaia di cadaveri. Non quello di Nancy. Ma ne arriva uno importante, straordinario.
Larraìn torna col suo terzo lungometraggio dopo il premiato “Tony Manero”. E lo fa con un film duro, essenziale, ai limiti del documentario, girato negli stessi luoghi in cui avvennero quei fatti, con una luce polverosa, densa, oppressiva. La Storia irrompe con ferocia nella vita di un uomo mediocre e profondamente innamorato, e noi seguiamo il racconto quasi solo attraverso le impercettibili increspature sul volto di Mario, col ritmo dato dalle sue gelide emozioni. Non c’è morale, non c’è giudizio, non c’è futuro, c’è solo una storia.DI RENJIE ZHI TONGTUAN DIGUO (DETECTIVE DEE AND THE MISTERY OF PHANTOM FLAME)
di Tsui Hark, Cina 2010 (Huayi Brothers Media Corp.)
Andy Lau, Carina Lau, Li Bingbing.
Un giallo, un film d’azione con continui colpi di scena, coreografie e scenografie maestose e colorate: insomma, una bella e necessaria pausa di divertimento in una giornata “d’autore”.
Cina, 690 d.C. E’ il tempo della dinastia Tang, nella città imperiale di Luoyang. Una colossale stupa (un momumento) buddista sta per essere terminata. Quel giorno Wu Zetian, reggente del trono dalla morte del marito otto anni prima, diventerà ufficialmente la prima donna imperatrice della Cina. Ma forze magiche e oscure tramano nell’ombra. Quando alcuni funzionari cominciano a morire per autocombustione, Wu decide di affidare il caso a Di Renjie, fatto imprigionare da lei stessa anni prima perché aveva espresso dubbi sulla morte dell’imperatore. Di viene nominato Giudice Supremo e gli vengono affiancati il giovane magistrato Bei Donglai e la funzionaria di corte Jing, misteriosa guerriera vicinissima all’imperatrice. Le indagini porteranno il gruppo nel Mercato Fantasma, la città nera del sottosuolo, a scontrarsi con nemici invisibili e invincibili, a scoprire magie antiche e dimenticate, fino ad arrivare al Priore, il supremo Mago di corte secondo solo all’imperatrice. Armato del suo intuito e della potente spada donatagli dall’imperatore, Di capirà presto che nulla è quello che sembra.
Il maestro del cinema di Kong Kong Tsui Hark (“Bruce Lee dalla Cina con furore”, “The Blade”, “Seven Swords”, “All about women”) si diverte molto e ci diverte con questo thriller d’azione in costume. Le coreografie dei combattimenti sono quelle a cui ci ha abituato il cinema di genere degli ultimi anni, le scenografie e gli effetti speciali all’altezza della fama: la novità è l’intreccio misterioso che rende il Detective Dee un personaggio destinato a restare.MEEK’S CUTOFF
di Kelly Reichardt, Usa 2010 (Archibald)
Michelle Williams, Bruce Greenwood, Will Patton, Zoe Kazan, Paul Dano, Shirley Henderson, Neal Huff, Tommy Nelson, Rod Rondeaux.
Un altro grande momento della storia dell’uomo narrato attraverso le vicende, i pensieri e le emozioni di persone comuni, ai margini della cronaca, ben lontani dall’epica.
E’ il 1845, l’inizio dell’epoca della Pista dell’Oregon, gli albori della frontiera americana. Tre famiglie di pionieri assoldano una guida, Stephen Meek per essere guidate verso le Cascade Mountains. Meek sostiene di conoscere una scorciatoia e conduce la carovana in una zona desertica e impervia. In un paio di settimane saranno a destinazione. Ma le settimane diventano cinque, le montagne non si vedono e il gruppo comincia a dubitare di Meek. Quando cibo e acqua cominciano a scarseggiare e la situazione diventa disperata, la carovana si imbatte in un indiano solitario. E’ loro nemico, un assassino, uno stupratore, hanno sempre raccontato ai pionieri. Ma è anche l’unico che forse conosce la strada per uscire da quell’inferno.
“Sono proprio le minuzie a consentirci di narrare in maniera inedita la grande epopea del west, svelandone una verità che la narrazione ufficiale non coglie”, dice la regista Kelly Reichardt (“Old Joy”, “Wendy and Lucy”), che resta fedele al suo cinema fatto di grandi paesaggi, dove “la maggior parte dei miei personaggi sono alla mercè delle cose che li circondano”. Nonostante l’immensità circostante, però, la prospettiva (a cominciare dalle riprese) è tutt’altro che grandiosa, concentrata com’è sul dettaglio, sui volti, sul sudore, sulla terra, sugli oggetti. Fondamentale ne “La scorciatoia di Meek” il punto di vista delle donne, il loro modo di percepire spazio, viaggio e difficoltà. Dimenticate, insomma, il classico film western: qui non ci sono sparatorie, cavalcate, buoni e cattivi. C’è il viaggio di un gruppo di persone, la fede cieca che avevano nel loro sogno di un mondo nuovo, la quotidiana fatica di andare avanti giorno per giorno, l’unica certezza dei loro principii e dei loro sentimenti.