Roma 1960


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I Giochi e la magia del sogno

Cinquanta anni fa le Olimpiadi tra record, dolce vita e speranza. Furono i Giochi più belli di sempre per la magia del sogno sportivo e umano che li accompagnò. Era il tempo dell'elezione di Kennedy, imminente, della corsa allo spazio e del Concilio Vaticano di Papa Giovanni XXIII b

A mezzo secolo dall'inizio delle "sue" Olimpiadi, dal 25 agosto all'11 settembre Roma celebrerà la ricorrenza con una serie di iniziative che guardano anche alla candidatura della capitale per i Giochi del 2020 e che cominceranno alle 20 di mercoledì in Piazza del Campidoglio. La Capitale ospiterà gli stessi azzurri olimpici del 1960 e saranno tante le personalità e i campioni mondiali di varie discipline agonistiche presenti alla cerimonia per ricordare un'adizione che resta negli annali come la più bella di sempre.

Era il tempo del boom, e davvero per Roma '60 ci fu un'esplosione di allegria mai vista prima in Italia. Ma non fu l'effetto di un inedito benessere, o perlomeno non fu solo quello: a rendere unici quei fu la magia del sogno sportivo e umano. Papa Giovanni XXIII e i prodromi del suo Concilio Vaticano, l'imminente elezione di John Kennedy alla Casa Bianca, la corsa allo spazio appena cominciata: c'era nell'aria un profumo di speranza che contribuì al successo di quelle Olimpiadi.

E poi, i protagonisti: tante stelle che brillarono nel cielo di Roma e mezzo secolo dopo sono ancora miti, come avveniva solo per gli eroi delle Olimpiadi dell'antichità.. Da Livio Berruti a Wilma Rudolph, da Abebe Bikila ad Armin Hary il 'ladro di partenze', dal giovanissimo Cassius Clay a Nino Benvenuti. E poi Al Oerter, Dawn Fraser, così anticonvenzionale che, oltre a vincere nel nuoto, fumava ed era bisessuale dichiarata; i fratelli Raimondo e Pietro D'Inzeo; Sante Gaiardoni (vinse due ori e ridiede il sorriso al ciclismo italiano che proprio in quell'anno aveva perso per sempre Fausto Coppi): in tanti illuminarono tra il 25 agosto e l'11 settembre la diciassettesima edizione dei Giochi dell'Era moderna.

A loro vanno aggiunti la fenomenale ginnasta russa Larissa Latynina, la tuffatrice 'bambola di Dresda' Ingrid Kramer, il principe Costantino di Grecia, che conquistò l'oro nella vela nel golfo di Napoli. In tutto gli atleti di Roma '60 furono 5.348 (di cui 617 donne) in rappresentanza di 83 nazioni. Fra loro ci fu perfino chi, proprio come in una tragedia greca, nel nome di Olimpia immolo' se stesso: nel primo giorno di gare morì infatti, durante la 100 km a squadre di ciclismo, il danese Kurt Enemark Jensen, schiantato da condizioni climatiche proibitive ma anche dal cancro del doping, di cui 50 anni fa si cominciarono a vedere i peggiori effetti (e proprio allora il Cio decise di istituire i controlli).

Fu un'Olimpiade, quella che Roma si aggiudicò a spese di Losanna, seguita dal vivo da più di un milione e mezzo di spettatori (un record), fra i quali teste coronate e star di Hollywood: sugli spalti degli impianti si sedettero Liz Taylor, Grace Kelly (suo fratello John faceva parte della squadra Usa di canottaggio), Bing Crosby, Gregory Peck, Rock Hudson e Charlton Heston. Chi ebbe la fortuna di esserci ci ripensa con nostalgia: il mondo cambiava e proprio a Roma per la prima volta un nero, il grande decatleta Rafer Johnson, fu il portabandiera della squadra americana. De Coubertin avrebbe voluto portare i Giochi nella capitale dell'antico impero fin dal 1908, ma l'eruzione del Vesuvio di due anni prima aveva convinto il governo italiano a rinunciare per destinare i fondi alla risoluzione dei problemi causati dal vulcano.

Così le Olimpiadi si fecero a Londra, e a Roma arrivarono con 52 anni di ritardo. Ma furono ugualmente splendide, così a misura d'uomo, gioiose, calde, ricche di fascino e di storia (la ginnastica alle terme di Caracalla, la lotta nella basilica di Massenzio), oltre che romantiche come la città che le ospitava. Era l'epoca del villaggio senza cancelli, in cui chiunque, quindi tanta gente comune, poteva entrare e mescolarsi agli atleti ospitati nelle 33 palazzine alte fino a 5 piani tirate su al quartiere Flaminio. Fu l'Olimpiade di chi tornava alla vita e cancellava definitivamente la guerra (la Germania era già divisa in due, ma si presentò con un'unica squadra, 321 tedeschi dell'est e dell'ovest pronti a salire sul podio sulle note dell'Inno alla Gioia di Beethoven): quasi a volerlo testimoniare ci fu quel volo di colombe nell'Olimpico dopo la semifinale dei 200 metri vinta, a ritmo di primato del mondo, dal grande Livio Berruti, che poi si sarebbe ripetuto in finale conquistando l'oro e facendo impazzire l'Italia intera. Lui invece, al villaggio, si era innamorato, pare ricambiato, della gazzella Wilma Rudolph, che fin da Melbourne 1956 (un bronzo conquistato a 16 anni) correva nello sprint con grazia e leggiadria, nonostante avesse avuto la poliomielite da bambina.

Quelli di Roma furono i giorni dei trionfi (100, 200 e 4x100) di questa ragazza eletta regina del villaggio per la dolcezza e delicatezza che le avevano procurato legioni di ammiratori. Fu l'Olimpiade di Berruti ma non solo, perché venne anche la notte in cui brillò l'astro di Abebe Bikila, poi spentosi precocemente, il maratoneta etiope che correva scalzo ed era un soldato del Negus fino ad allora perfetto sconosciuto. Era anche uno dei soli 12 atleti spediti ben due mesi prima a Roma dall'ex colonia. Con il suo passo leggero staccò tutti e trionfò a ritmo di miglior prestazione mondiale, arrivando da solo sotto l'Arco di Costantino e guadagnandosi la promozione a tenente. Furono anche i Giochi di un ragazzo di 18 anni già ciarliero, clown del villaggio, convinto non a torto di essere un predestinato. "Quel negretto lo vedo male", vaticinò un giornalista romano durante un match: si sbagliava, il 'negretto' diventò infatti, prima col nome di Cassius Clay, a Roma oro nei mediomassimi; poi, con quello di Muhammad Alì, il Più Grande, atleta del secolo e idolo di tutti i neri del mondo.

Per lui nel 1960 la sfida più difficile non fu battere gli avversari ma sconfiggere il terrore dell'aereo e riuscire a salire sul volo per Roma. Avrebbe meritato il premio di miglior pugile del torneo olimpico, ma ragioni di geopolitica lo fecero assegnare all'italiano Nino Benvenuti, che peraltro come lui sul ring pungeva come una vespa. A proposito, erano Giochi ecologici 'ante litteram': agli impianti si andava giustappunto in Vespa, spettatori e talvolta atleti. Cosi ci si sentiva tutti Gregory Peck, e, magari avventatamente, si poteva sperare in una vita dolce da Vacanze Romane.

 

Dall'alto: la cerimonia di inaugurazione; Genevan (a sinistra) e Berruti nei 200 metri piani. Berruti vince l'oro; da sinistra, i pugili Francesco Musso, Francesco De Piccoli e Nino Benvenuti, tutti vincitori della medaglia d'oro. (Foto Archivio Ansa)