LE QUATTRO VOLTE

di Sandro Calice

LE QUATTRO VOLTE

di Michelangelo Frammartino. Svizzera, Germania, Italia 2010 (Cinecittà Luce)
Documentario
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Le “quattro volte”, secondo un pensiero attribuito a Pitagora, sarebbero le volte che l’essere umano deve conoscere se stesso, avendo in sé quattro vite distinte e successive: minerale, vegetale, animale e uomo. Frammartino, che ha iniziato con le video installazioni, qui al suo secondo film dopo “Il dono” (2003), prova a seguire visivamente questo percorso dell’anima partendo dal mondo antico e premagico di un villaggio calabrese.

In un paese immerso nelle colline calabresi, lo Ionio in lontananza, un vecchio pastore trascorre i suoi ultimi giorni, scanditi dalle stesse, eterne, azioni: svegliarsi, mungere le sue capre, portarle al pascolo, tornare, cenare, dormire. E’ malato, ed è convinto che la polvere del pavimento della chiesa, sciolta nell’acqua prima di andare a letto, possa curarlo. Nell’ovile della sua casa una capra partorisce un capretto bianco. Ha pochi attimi per mettersi in piedi e affrontare la vita. Si alza, cresce, gioca, ma il giorno della sua prima uscita si perde, vaga per le colline, fino a fermarsi sotto un gigantesco abete. L’albero sta lì, maestoso, forse da secoli. Ma all’uomo serve, per i suoi riti e i suoi bisogni. Diventa un lunghissimo palo bianco, destinato alla festa pagana del paese e poi affidato all’antichissimo mestiere dei carbonai. Un gigante che diventa fumo.

Frammartino costruisce un racconto molto concettuale, un viaggio intellettuale, “un film sull’anima – per dirla con le sue parole – sull’invisibile che c’è nei corpi ma soprattutto nell’immagine”, presentato alla Quinzaine des realisateurs a Cannes 2010, dove ha vinto il premio Europa Cinemas Label. Non c’è quasi dialogo, anzi, linguaggio. Le rare volte che gli esseri umani parlano lo fanno in una lingua arcaica e volutamente sfumata. Del resto, la domanda che Frammartino si pone è se si possa “liberare il cinema dalla tirannia dell’umano, che è un privilegio ma anche una condanna alla solitudine”. Parla allora la natura, e parlano le quattro anime, i quattro momenti della vita che si susseguono in un circolo virtuoso. E parla in un luogo (è la Calabria, ma potrebbe essere ovunque nel nostro Sud contadino) in cui l’uomo ancora ricorda e comprende quel linguaggio. I sospiri, la fatica, la voce delle capre, un cane che abbaia, il vento tra gli alberi, il legno che si spezza e che brucia: il film ci mostra questo. C’è il rischio di una video installazione dilatata, ma superato lo straniamento iniziale, alla fine viene voglia di vedere dove ci porta il viaggio.