di Gianluca Luceri
Non c'è più domani. Fine delle tabelle, fine dei calcoli e dei teoremi. Nella boxe si direbbe: fuori i secondi. Novanta-minuti-novanta e il tricolore avrà finalmente un padrone. E' uno scudetto, quello 2009-2010, che viaggia in autostrada. Uscita Siena per l'Inter, bivio Verona per la Roma. Due partite, stesso filo annodato: si gioca su due campi, con un occhio qua, un orecchio là, in una prevedibile altalena di grandi, forti emozioni.
Per ribaltare l'epilogo più probabile, ovvero il 18° titolo nerazzurro, servirà molto più della pioggia di Perugia-Juventus o delle lacrime di Ronaldo in quel Lazio-Inter del 5 maggio, finali clamorosi che trasformarono in carta straccia copioni già scritti. La Roma ha due lunghezze da recuperare e non può far altro che vincere. Le basterebbe anche un arrivo sottobraccio a 80 punti (con il vantaggio negli scontri diretti), per conquistare il quarto tricolore della storia. Il suo destino però non è più nelle sue mani, ma in quelle d'acciaio della corazzata 'mouriniana'. Che dopo la vittoria in Coppa Italia non si pone più limiti sognando, a ragione, oceani di gloria, alias Grande Slam. Che tradotto significa trionfo in campionato e fra una settimana in Champions League. Ecco proprio il punto: il pensiero di Madrid e del Bayern e una possibile 'sottovalutazione' mentale dell'impegno col Siena, sono le vere insidie per l'Inter, che ha due punti di vantaggio sui giallorossi e un bagaglio tecnico e di uomini che basta e avanza per espugnare il Franchi. Può la peggiore difesa della serie A (66 reti subite) resistere al migliore (di gran lunga) attacco del campionato (74 gol fatti)? Non può, sempre sulla carta. Troppo il divario di motivazioni e qualità, anche se il presidente dei toscani Mezzaroma, giallorosso fino al midollo, ha già dichiarato che la sua squadra - seppur retrocessa - venderà cara la pelle, che tutto il mondo guarda dentro casa sua e non sono ammesse brutte figure, che i nerazzurri non troveranno tappeti rossi. Il tutto 'cozza' però con un'unica certezza: se l'Inter gioca da Inter, non c'è storia.
Né è consepovole Ranieri, ne sono coscienti Totti e compagni, che arriveranno a Verona accompagnati da quasi diciottomila tifosi, una marea umana per la quale i sogni sono ancora vivi. Occhio però al Chievo di Di Carlo, splendida realtà di questa stagione, battuto 'solo' per 4-3 domenica scorsa a San Siro. E' un osso duro, se giocherà con le dovute motivazioni. Che però non dovrebbero mancare, anzi. La passione romanista di Mezzaroma fa infatti rima con la dichiarata fede interista di Campedelli, presidente gialloblù che se potrà dare una mano a Moratti, non si esimerà di certo. Giusto così. Anche questo fa parte del gioco, anche questo rende il romanzo del campionato ancora più avvincente. Bisognerà leggere l'ultima riga dell'ultima pagina per scoprire la verità.
La 38esima giornata ha solo un'altra storia da raccontare. Si chiama quarto posto, che vuol dire passaporto per la Champions League, obiettivo di colossali proporzioni per chi non è abituato a simili scenari. Se lo contendono Sampdoria e Palermo, due squadre che nessuno immaginava così in alto, con i blucerchiati di Del Neri (primo 'indiziato' ad allenare la Juve) in netto vantaggio sui siciliani. E' la situazione in fotocopia della lotta scudetto tra Roma e Inter. Doriani due punti avanti, rosanero due punti dietro: in caso di arrivo insieme, Palermo in Champions, Cassano e soci in Europa League. La Samp ha però il match-point sulla racchetta: sfida un Napoli già in porto e lo farà a Marassi, davanti alla sua gente. Difficile poi che l'ex Mazzarri venga al Ferraris per rovinare la festa doriana. Il Palermo orfano del suo stellone Miccoli, operato in settimana al ginocchio e out per quattro mesi, va a Bergamo contro un'Atalanta già in serie B. Dovrebbe spuntarla, ma se tutto procede secondo logica, i tre punti non gli basteranno. In qualunque caso, sia Del Neri che Delio Rossi vanno applauditi a scena aperta: hanno compiuto un lavoro incredibile, cambiando pelle a due formazioni che non erano certo delle 'big' e che invece sono finite davanti a Juventus, lo stesso Napoli e Fiorentina, squadre che nei nomi e nei pronostici della vigilia sembravano ben superiori.
Senza brividi e significato Cagliari-Bologna, Catania-Genoa, Parma-Livorno e Bari-Fiorentina: per questi club, chi nel bene chi nel male, tutto è già compiuto. Tempo di saluti, invece, in Milan-Juventus, rievocazione malinconica di una sfida che nel calcio italiano è da sempre tra le più affascinanti. Una 'classica' mai come stavolta sciapa e senza appeal. Bye bye di Leonardo, che lascerà la panchina rossonera, titoli di coda per Zaccheroni, che ha fatto peggio di Ferrara ed è stato risucchiato nella vertiginosa caduta bianconera senza riuscire a inventare granchè.
Mettono un punto ad una stagione assolutamente deludente anche Lazio e Udinese, invischiate fino all'ultimo in una lotta-salvezza 'poco edificante' per due società di ben altro pedigree. L'estate e il mercato serviranno, forse, per portare consiglio.