di Raffaella Miliacca
Radici al cielo e fronde verso il basso. E’ un albero sottosopra, ideale scambio tra antico e nuovo, l’immagine scelta per l’edizione 2010 del Salone Internazionale del Libro, che ha come tema “la memoria, svelata”. La manifestazione, dal 13 al 17 maggio al Lingotto di Torino, e giunta alla ventitreesima edizione, torna quest’anno all’originario nome di ‘salone’.
Per cinque giorni i padiglioni del Lingotto si trasformano in una grande piazza, dove sfogliare e acquistare libri, incontrare scrittori, partecipare a dibattiti, assistere a spettacoli. Gli espositori presenti al Salone sono oltre 1.400, undici le Regioni che partecipano con un proprio stand, prima fra tutte l’Abruzzo, a un anno dal terremoto, e case editrici di Perù, India, Brasile, Slovacchia, Romania e Albania.
Paese ospite d’onore è l’India, cultura, paesaggio e spiritualità sempre molto amati dagli scrittori italiani, a partire da Gozzano e Salgari fino a Terzani. Nel Salone in cui si parla di memoria, non poteva mancare uno spazio dedicato al 150° dell’Unità d’Italia, con una serie di riflessioni critiche affidate a scrittori, economisti, magistrati, storici. Attesi, come ogni anno, grandi nomi della letteratura italiana e internazionale, come Umberto Eco, Franco Cordero, Eugenio Scalfari, Erri De Luca, Amélie Nothomb, Scott Turow, maestro del legal thriller.
Dopo diversi anni, la Fiera internazionale del libro torna al nome con cui nacque, nel 1988. Al direttore Ernesto Ferrero chiediamo la ragione di questa scelta.
Abbiamo voluto sottolineare una continuità tornando all’origine. Il termine ‘salone’ ci sembra comprendere i molti aspetti di questa manifestazione: mostra-mercato, festival letterario-culturale, con centinaia di eventi, occasione d’incontro professionale con editori e agenti che vengono anche dall’estero. Inoltre, c’è un’importante sezione dedicata a bambini e ragazzi su cui investiamo molto, perché loro sono il primo anello della catena di lettori e da lì bisogna partire.
Come si articolerà nei cinque giorni di programma il tema della “memoria”?
Ci occuperemo di memoria in senso critico, ripercorrendo un passato che, come sappiamo, non è scritto una volta per tutte. La memoria è qualcosa di mobile, di labile, persino di non troppo sicuro, perché tende a riscrivere continuamente il ricordo iniziale, quindi a modificarlo, anche in buona fede. Visto che andiamo incontro al 150° dell’Unità d’Italia, abbiamo pensato che era una buona occasione per andare all’indietro e ripercorrere tutti quei momenti della storia italiana con cui non abbiamo veramente fatto i conti. Penso all’opposizione tra Nord e Sud, che sta di nuovo emergendo, oppure, per quello che ci riguarda più da vicino, alla stagione del terrorismo. Perché abbiamo la tendenza a rimuovere, a non fare veramente i conti con il nostro passato, a perdonarci, ad autoassolverci. Esclusa quindi tutta la retorica che accompagna le celebrazioni, credo che sia arrivato il momento di fare un esame di coscienza molto sereno, ma anche molto preciso. Non vogliamo abbandonarci a una retorica che poi finisce per essere controproducente. Già è successo con la Resistenza: è stata trattata in modo tale che, soprattutto ai giovani, non dico che è diventata insopportabile, però forse non è stata trasmessa in modo giusto.
Cosa racconterà l’India, ospite d’onore del Salone?
L’India è il grande amore degli italiani, forse l’unico Paese al mondo a cui guardano come un luogo dello spirito dove poter ritrovare se stessi. Per generazioni ha rappresentato una possibile alternativa all’insoddisfazione della cultura occidentale, al razionalismo occidentale. Ma l’India è anche un grande Paese in tumultuosa evoluzione da ormai dieci anni. Abbiamo invitato soprattutto scrittori che in India sono rimasti. Molti autori si sono infatti trasferiti in Occidente e raccontano un po’ tutti la stessa storia: lo spaesamento, il ritrovarsi in un mondo che non è il loro, il pensare continuamente a quello che hanno lasciato, seppure in termini critici. A noi sembrava più interessante invitare chi ci potesse raccontare quello che sta succedendo lì e che, come tutte le situazioni in trasformazione, presenta luci e ombre. Penso alla forbice tra chi ha molto o troppo e chi non ha nulla, alla condizione femminile, al rapporto tra tradizione e modernità, affinché nella trasformazione l’India non perda la propria anima.
Di fronte alla crisi che colpisce anche l’editoria, quale può essere il contributo di manifestazioni come questa?
Il Salone di Torino è la dimostrazione che esiste un pubblico molto più ampio, motivato, curioso e appassionato di quello che siamo disposti ad ammettere, perché noi italiani siamo sempre un po’ troppo autocritici. Da recenti indagini rese note dal Centro per il Libro, emerge che l’Italia rappresenta il settimo mercato mondiale del libro. E questo mi sembra già un risultato notevole in un Paese di 60 milioni di abitanti, in cui i lettori abituali, a essere generosi, non sono più di 3-4 milioni, e in una lingua di nicchia, perché l’italiano nel mondo non può certo competere con lo spagnolo, l’inglese, il francese. Certo, questo è un periodo di grande trasformazione. Il modo migliore di affrontarlo è vedere cosa si può fare con le potenzialità che offrono le nuove tecnologie. Certamente il nuovo spaventa, ci allarma, però ci offre anche delle opportunità su cui dobbiamo saltare, valutando rischi e benefici. Il rischio è che, sommersi da una sterminata moltitudine di dati che ci vengono offerti, non sappiamo scegliere oppure non sappiamo organizzarli. Saremo ancora capaci di analisi, di scavo, di profondità, di non correre scriteriatamente senza guardarci indietro né avanti? Ritengo che questo sia il problema, ma dipende da noi, non dagli strumenti.
Le foto sono di Paolo Tangari per il Salone Internazionale del Libro