Festa della mamma (e lavoro)


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Mamma non vuole essere 'inattiva'

Ricerca Isfol: pesano famiglia, orari e fattori culturali donna_bambino_296

Hanno rinunciato a cercare un lavoro e, troppo spesso, dopo la nascita di un figlio, si dedicano totalmente alla gestione della propria famiglia. Quando vengono interpellate se disposte a rientrare nel mercato del lavoro, dichiarano di volerlo fare accettando un lavoro part-time e per un reddito netto fra i 500 e i mille euro al mese. Insomma sono donne ben consapevoli che servirebbero tempi di lavoro più flessibili, maggiore condivisione nel lavoro familiare, più servizi per l'infanzia e per gli anziani e maggiori indennità economiche destinate ai nuclei familiari. E' questo l'identikit delle donne inattive italiane, mamme e no, tracciato dall'Isfol, l'Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori. L’indagine dell’Isfol sui fattori determinanti l'inattività femminile, condotta su un campione rappresentativo della popolazione di donne fra i 25 ed i 45 anni, mira a far luce sulle cause della bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. La ricerca ipotizza la presenza di numerosi elementi che concorrono al fenomeno: fattori di ordine economico, sociale e culturale. I risultati indicano che la cause dell’inattività femminile ruotano principalmente attorno alla famiglia (divisione dei compiti tra i coniugi e carichi di lavoro legati alla cura dei figli e dei parenti non autosufficienti), al modello di welfare (carenza di servizi per l’infanzia, presenza di reti familiari e informali) e alla organizzazione del lavoro (bassi livelli di conciliazione tra lavoro e famiglia, rigidità degli orari di lavoro). L’indagine ha permesso inoltre di evidenziare anche gli elementi di natura culturale che non favoriscono il lavoro delle donne.

Il titolo di studio
La presenza di figli (soprattutto nella fascia d’età 0-5 anni), il grado e le modalità di divisione del lavoro di cura con il partner, l’assenza di un aiuto nella gestione della casa e il possesso di un basso titolo di studio caratterizza principalmente le donne inattive. I dati mostrano una minore presenza di inattive fra le donne maggiormente istruite, ma anche una diversa incidenza della inattività posseduto nelle diverse aree territoriali rispetto al titolo di studio posseduto. Al Nord infatti l’incidenza dell’inattività è più bassa fra le donne che non hanno titolo di studio o hanno la licenza elementare (17,2%) e fra chi è in possesso della laurea o di specializzazione post laurea per le quali il tasso di inattività risulta pari al 10,9%. Nelle altre aree geografiche la quota di donne inattive diminuisce al crescere del livello di studi conseguito pur rimanendo sempre sensibilmente più elevato (a parità di livello di istruzione) al Sud .

Se la madre lavorava
Ma accanto a questi aspetti, quello culturale gioca sicuramente un ruolo fondamentale. In tal senso è di aiuto considerare se la madre dell’intervistata lavorava e se anche le donne che frequentava durante l’infanzia lavoravano. Solo nel 55,6% dei casi la madre aveva un lavoro e se incrociamo i dati con la condizione lavorativa prevalente dell’intervistata emerge chiaramente che la percentuale delle madri che lavoravano è maggiore tra le occupate rispetto che tra le inattive. Inoltre l’aver frequentato donne che lavoravano durante l’infanzia è un fattore che incide positivamente sull’occupazione femminile. I dati, dunque, confermano l’ipotesi che prevede il riproporsi, in età adulta, di scelte simili a quelle compiute dalle donne presenti nel panorama familiare d’origine, che inevitabilmente hanno trasmesso modelli comportamentali sia attraverso le proprie scelte che nei discorsi propri della quotidianità.

La presenza dei figli
Molte donne però iniziano a lavorare, ma smettono con la nascita dei figli. Questo è infatti uno dei motivi principali che le donne indicano nello spiegare il loro allontanamento dal mercato del lavoro, ma oltre a questo anche la perdita del lavoro a seguito di chiusura aziendale, licenziamento o scadenza di un contratto sono fattori che incidono. Fra coloro che hanno scelto di abbandonare il lavoro per dedicarsi ai figli al crescere del livello del titolo di studio diminuisce questo motivo di interruzione, così come diminuiscono le probabilità di licenziamento/chiusura aziendale. Diversamente accade se si analizza la scadenza di un contratto a termine o stagionale. In tal caso le donne con titoli medi indicano in misura maggiore questa ragione alla base della perdita del lavoro. La scadenza di un contratto a termine o stagionale è motivo di interruzione di lavoro più per le donne giovani nella fascia 25-34, in misura minore per le donne 35-45enni. Il contrario avviene invece nel caso di licenziamento o chiusura aziendale: le donne più mature sono maggiormente penalizzate. Come detto, una percentuale rilevante di donne attualmente non occupate si è invece allontanata dal lavoro per ragioni dipendenti dalla situazione del mercato del lavoro. Nel 14% dei casi, infatti le donne sono state licenziate o ha chiuso l’impresa presso la quale lavoravano; il 23,8% invece ha perso il lavoro a seguito della scadenza di un contratto a termine o a carattere stagionale. Questa ragione sembra incidere in modo decisamente meno rilevante (17,3%) nello scegliere il ruolo di casalinga rispetto ad altre motivazioni come appunto la cura dei figli. Inversamente, per le donne in cerca di occupazione, la perdita del lavoro per ragioni involontarie (principalmente la scadenza del contratto) costituisce il dato maggiormente significativo.

Perdere il lavoro
E’ ovvio che queste stesse variabili gravino anche sull’uscita dal mercato del lavoro maschile, ma in modo differente. In linea generale se gli uomini perdono il lavoro è più facile che lo ritrovino e in tempi più rapidi rispetto alle donne, soprattutto se a perdere il lavoro sono donne nella fascia d’età fertile o con figli piccoli. In secondo luogo la perdita del lavoro per una donna è maggiormente frequente vista la più alta percentuale di donne che ha contratti di natura temporanea, a tempo determinato o in forma di collaborazione. Per le donne è inoltre più facile che si manifesti un effetto scoraggiamento in ragione delle difficoltà nella ricerca di un lavoro, difficoltà che si evidenziano in modo particolare per le donne ex lavoratrici attualmente inattive. Queste analisi fanno pensare alla presenza di una quota consistente di donne che, “libere” da condizionamenti culturali, si trova lontano dal mercato del lavoro non proprio per scelta. Un altro dato interessante che emerge dall’indagine, è relativo all’elevata presenza fra le donne inattive di inattività non scelta, in particolare fra le donne non coniugate o non conviventi dove in media il 55% risulta inattivo non per scelta (il 60% al Nord Ovest e il 63% nel Centro). Fra le coniugate o conviventi la percentuale delle inattive non per scelta è in media del 34%, più elevata fra le donne coniugate-conviventi che vivono nel Sud, dove il 38% delle inattive è tale non per scelta contro il 28% delle donne inattive che vivono nel Nord Italia.

Come ritrovare il posto
Ma quali sono gli aspetti e le condizioni che inciderebbero in modo positivo sulla possibilità di rientro nel mercato del lavoro? Oltre la metà delle donne inattive sarebbe disponibile a lavorare fino a 25 ore settimanali, sostanzialmente con un part-time e fra queste circa il 38% accetterebbe un lavoro per un reddito netto fra i 501 ed i 1000 euro al mese. E’ comunque interessante sottolineare che esiste una quota non irrilevante di inattive disposta a lavorare anche con orario full-time. E’ ovvio che l’orario ridotto risulta una delle forme di lavoro maggiormente desiderata proprio in considerazione del fatto che per i carichi di lavoro familiari diventa una modalità principale per la conciliazione degli impegni familiari con quelli lavorativi. Non a caso una delle condizioni che renderebbe disponibili le donne inattive al rientro nel mercato del lavoro è la possibilità di un’attività lavorativa che comporti un orario ridotto o flessibile. In particolare tale forma di lavoro è indicata nelle regioni del Nord, ma le percentuali sono comunque rilevanti anche nelle altre aree geografiche. Al Sud è inoltre indicata la disponibilità di nidi e scuole materne pubbliche come altro fattore importante nella decisione di lavorare, mentre al Nord una quota consistente di donne ritiene che sarebbe uno stimolo anche il trovare un lavoro interessante. In linea generale può affermare che il mercato tenda a selezionare donne con titoli di studio medio alti e disponibili a lavorare per un monte ore che risulta essere superiore a quello indicato dalle inattive. Tale dato suggerirebbe un’incapacità del mercato di soddisfare le esigenze lavorative più flessibili di alcune donne, ma confrontando le ore desiderate con il salario di riserva vediamo che esistono situazioni di potenziale attività fra le donne. Tali situazioni caratterizzano donne inattive con un buon livello di istruzione ed un salario di riserva inferiore al salario orario teorico offerto dal mercato che non si trasformano in un’attività effettiva forse per una difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Aiutare le donne
Come tentare di ridurre il fenomeno dell’inattività femminile? In primo luogo, in considerazione dei carichi di lavoro domestici e di cura che gravano sulle donne inattive, fondamentale risulta lo sviluppo di politiche in grado di ridurre tale peso fra cui la disponibilità di servizi pubblici per bambini ed anziani. In secondo luogo risulta importante un adeguamento dei tempi lavorativi. Molte donne sarebbero disposte a lavorare con orari family friendly. La disponibilità di lavori con orario ridotto o flessibile dovrebbe comunque avere un carattere di reversibilità in modo che possa essere adattata al ciclo di vita familiare e ovviamente non deve risultare penalizzante rispetto alle prospettive di carriera. Infine, come sottolineato, l’inattività femminile è maggiormente diffusa in aree dove bassi sono anche i tassi di occupazione femminile. In queste aree la probabilità di essere inattive aumenta anche in ragione di un “effetto scoraggiamento” che inibisce la ricerca di lavoro. In tal senso è quindi utile favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro per sbloccare il flusso dalle ricerca di un’occupazione all’inattività.