''Per difendermi non posso continuare a fare il ministro''. Travolto dalla vicenda dell'appartamento al Colosseo, Claudio Scajola decide per la seconda volta nella sua carriera politica di lasciare l'incarico di ministro. ''Sto vivendo da dieci giorni una situazione di grande sofferenza. Sono al centro di una campagna mediatica senza precedenti e non sono indagato'', dice Scajola, teso e amareggiato, nella conferenza stampa in cui annuncia l'addio al governo.
Anche se non indagato, Scajola deve difendersi dall'accusa di aver comprato un appartamento al Colosseo utilizzando assegni in nero provenienti dell'imprenditore Diego Anemone, finito nell'inchiesta sugli appalti per il G8. Scajola cade dalle nuvole: a lui non risulta che la casa sia stata pagata da altri, ma, a questo punto, se dovesse ''acclararlo'' la lascerebbe senza esitazione: ''Non potrei come ministro, abitare in una casa pagata in parte da altri. E' la motivazione che mi spinge a dimettermi'' dice davanti a microfoni e telecamere.
Le sue dimissioni sono accompagnate da attestati di stima e solidarietà da parte di esponenti della maggioranza e da un coro di critiche dell'opposizione. Ma non suscitano particolari discussioni nell'esecutivo: vengono accettate dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dopo un colloquio con il ministro. Il premier lo congeda con una stretta di mano e un comunicato ufficiale in cui esprime il suo l'apprezzamento e quello di tutto il governo per la sua attività, dandogli atto di aver preso ''una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito''.
''Oggi lascia un ministro molto capace'', dice ancora il premier, ora alle prese con il problema del sostituto. Resta in Berlusconi e nel centrodestra la certezza che Scajola sia stato costretto a lasciare la poltrona di ministro per colpa delle inchieste e i commenti dei giornali (tra i quali, va detto, si sono distinti anche quelli vicini al centrodestra come 'Il Giornale' e 'Libero').
Per tutta la giornata ministri ed esponenti del centrodestra si profondono in attestati di stima e solidarietà verso Scajola. Alcuni, come il ministro Rotondi, credono che dimettersi sia stata ''una concessione alla demagogia''; tutti (Gasparri, Alfano, Cicchitto, Gelmini, Capezzone) se la prendono con la ''campagna mediatica'' e si dicono certi che alla fine Scajola saprà dimostrare la sua correttezza. Secondo il coordinatore del Pdl Sandro Bondi, una volta ristabilito il suo onore, Scajola potrà tornare a ricoprire incarichi politici e di governo .
I finiani apprezzano la decisione del ministro, ma contestualmente chiedono di accelerare sul disegno di legge anti-corruzione, per dare al paese il segnale che il centrodestra non avalla i comportamenti scorretti. Richiesta però bocciata dal direttivo del gruppo Pdl della Camera riunito in mattinata, per la prima volta senza Italo Bocchino. Dunque, il ddl non avrà alcuna corsia preferenziale.
Di fronte a Scajola che se ne va, l'opposizione parte all'attacco del governo. Secondo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani le dimissioni di Claudio Scajola sono un'altro episodio di un governo e una maggioranza ''in stallo'' che prelude a ''strappi'' all'interno del centrodestra. Tutta l'opposizione irride all'autodifesa di Scajola. Bersani dice di essere ''sconcertato'' per la storia degli sconosciuti che pagano l'appartamento del ministro: ''Forse siamo in presenza di benefattori sconosciuti...'' commenta sarcastico. Antonio Di Pietro rincara la dose: ''E' una storia che cozza contro la realtà. Qui nessuno di noi ha scritto in fronte 'Giocondo'. Scajola vada dai magistrati a spiegare''. Dall'Udc il commento di Enzo Carra: ''Intanto bisogna dire che siamo garantisti ma non scemi. La situazione era insostenibile. Il ministro se n'è reso conto e ha fatto bene".
Dimissioni, uno e due
E' la seconda volta che Claudio Scajola è costretto a rassegnare le dimissioni di ministro. Era già successo nel 2002: in quel caso Scajola era ministro dell'Interno del Governo Berlusconi. Il 'casus belli' avviene il 29 giugno. Il ministro è in visita istituzionale a Cipro. Con lui alcuni giornalisti. Scajola si lascia andare ad alcune esternazioni su Marco Biagi, il consulente del ministero del Lavoro ucciso dai terroristi quello stesso anno. ''Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza'': è la frase di Scajola, riportata il giorno dopo dal Corriere della Sera e dal Sole 24 ore, che fa scatenare l'uragano. Dopo alcuni giorni di roventi polemiche, il 4 luglio il ministro rassegna le dimissioni. In precedenza, Scajola si era dimesso da sindaco di Imperia. Era il 12 dicembre 1983 e l'allora primo cittadino democristiano viene arrestato dai carabinieri con l'accusa di concussione aggravata. Il giorno dopo si dimette. In seguito viene prosciolto dalle accuse.