‘Costruire un Regno Unito migliore’ è il proclama di David Cameron, 43enne cresciuto nell’alta borghesia e incaricato di rinnovare il Partito conservatore. Sotto la sua guida, i Tories si sono mostrati più sensibili ai temi ecologici e più aperti verso i ceti fin qui trascurati, a partire dalle minoranze etniche. In campagna elettorale si è sforzato di restare con i piedi per terra, ripetendo che la crisi finanziaria non è finita e che ‘ci aspettano tempi duri’. Promette comunque di ridurre rapidamente il deficit strutturale senza aumentare e tasse e propone di estendere l’istituto referendario. Il liberismo economico è il credo assoluto del partito conservatore britannico, nato più di due secoli fa. La figura più carismatica degli ultimi decenni è stata Margaret Thatcher, la ‘Lady di ferro’ che avviò una tornata di privatizzazioni senza precedenti, sconfiggendo la strenua opposizione dei sindacati. La maggiore divisione tra i conservatori riguarda i rapporti tra Regno Unito ed Europa. Il nuovo leader David Cameron si è smarcato dai Popolari all’Europarlamento, interrompendo la collaborazione con i tradizionali partiti del centro-destra e spostandosi verso le posizioni più estremiste degli euro-scettici dell’Europa orientale.
‘Siamo il partito delle riforme e abbiamo un progetto per il futuro’. Così il leader laburista e attuale premier Gordon Brown ha presentato il suo manifesto elettorale. Il programma, di 70 pagine, pone al primo posto istruzione e sanità, con la possibilità per i cittadini di partecipare ai controlli e ai processi gestionali. Il 59enne Brown promette un milione di posti di lavoro specializzati senza aumentare le tasse per le persone fisiche e per le imprese. ‘Imprescindibili’, infine, alcune riforme istituzionali: voto a 16 anni, nuove norme elettorali, riforma della Camera dei Lord. Il Partito laburista sembra destinato a chiudere un ciclo durato 13 anni, fortemente improntato alla figura dell’ex premier Tony Blair. Nato con i movimenti operai di fine ‘800, il Labour rappresenta storicamente il socialismo britannico. Con la leadership di Blair, il partito si è spostato verso una socialdemocrazia di tipo liberale e centrista. Più europeisti dei Tories, in politica estera i Laburisti sono stati aspramente criticati per la ‘sudditanza’ rispetto agli Stati Uniti. Il federalismo, attuato con la Devolution in Scozia e Galles è un altro pilastro della loro politica.
‘Il Labour vi ha tradito’: così il 43enne Nick Clegg, astro nascente della politica britannica, cavalca alcuni temi cari alla sinistra ed imprime una svolta al partito Liberaldemocratico, che una volta era al centro dello schieramento politico. Calo della pressione fiscale per i ceti meno abbienti, nuovi posti di lavoro, una Costituzione scritta (il Regno Unito si regge su norme di tradizione orale), no al nucleare e un deciso impulso all’energia pulita i suoi cavalli di battaglia. Clegg si propone come l’unico vero elemento di novità, ma è pronto a trattare per un eventuale governo di coalizione sia con i Conservatori che con i Laburisti. Il Partito Liberaldemocratico nasce nel 1988 dalla fusione dei socialdemocratici con i liberali, e si pone subito come il riferimento del centro riformista ed europeista. La svolta a sinistra avviene mentre i laburisti, con Blair, si ricollocano al centro. Gli ultimi anni hanno visto, tra le battaglie LibDem, l’aumento delle tasse per i più ricchi, l’opposizione alla guerra in Iraq, la liberalizzazione delle droghe leggere. Il partito, che sostiene con convinzione il federalismo e propugna un sistema elettorale proporzionale, si compone di due correnti, con posizioni pressoché opposte sulla gestione dello stato sociale.