SIMON KONIANSKI

di Sandro Calice

SIMON KONIANSKI
di Micha Wald. Belgio, Canada, Francia 2009 (Fandango)
Jonathan Zaccaï, Popeck, Abraham Leber, Irène Herz, Nassim Ben Abdelmoumen, Marta Domingo, Ivan Fox


Simon Konianski (Zaccaï) ha 35 anni, una laurea in filosofia e nessun lavoro. Quando la moglie, una danzatrice goy (goy è chiunque non sia ebreo), lo lascia perché è un eterno inconcludente, torna a vivere dal padre Ernest (Popeck), ebreo ortodosso e rigoroso. Simon passa il suo tempo steso sul letto a fumare, a litigare col padre che lo spinge a cercarsi un lavoro quale che sia e a criticare l’ebraismo, a divertirsi per le ossessioni di suo zio Maurice (Leber), convinto che la Stasi (la polizia segreta della Germania dell’Est) lo stia braccando, e a tormentarsi per amore. Meno male che c’è Adrien, suo figlio di 6 anni, affascinato dalla leggerezza del padre e dai terribili racconti del nonno sui campi concentramento. Potrebbe continuare così per sempre, ma Ernest muore e il suo ultimo desiderio è essere sepolto in Ucraina. Simon si imbarcherà così in un viaggio sul suo fuoristrada vintage, col figlio, gli zii naif e la salma del padre nascosta in una valigia.

Lasciando perdere paragoni improponibili con i fratelli Coen e con Woody Allen, Mika Wald riprende il personaggio del suo primo lungometraggio, “Alice et moi”, per tornare a sorridere dei suoi rapporti conflittuali con la famiglia e l’ebraismo. Sorridere perché questo è quello che offre “Simon Konianski”, non molto di più. Malgrado la solita impagabile capacità degli ebrei di ironizzare su se stessi e sulla vita e nonostante una lettura particolarmente critica dell’ebraismo che affiora nemmeno tanto metaforicamente sotto la commedia. I bei colori pastello e la musica sudamericana che accompagnano il racconto non aiutano molto una sceneggiatura intelligente ma costruita più come un elenco di episodi che come una storia.