Viaggio in Cina


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Xinjiang, una terra dimenticata ma di importanza strategica

Qui i turkofoni e islamici Uiguri hanno pagato con il sangue le loro velleità indipendentiste bambino_cinese_296

Le poche notizie ma ancor più le poche immagini della violenta repressione governativa delle rivolte degli Uiguri a Urumqi, capitale dello Xinjiang, hanno fatto nel giugno scorso il giro del mondo, mostrando con che violenza dimostrazioni di piazza, innescate da un fatto casuale avvenuto a migliaia di chilometri di distanza, siano state represse da Pechino.

Lo Xinjiang, 20 milioni di abitanti su una superficie 5 volte l’Italia, è una remota regione del nord-ovest della Cina, ricca di petrolio e gas naturale, già oggetto del contendere nel XIX secolo fra Gran Bretagna, Russia e Cina, per il controllo dell’Asia centrale. La regione, infatti, oltre che per le risorse naturali, ha un’importanza strategica per la sua collocazione geografica (confina con Pakistan, India, Afghanistan, Russia, Mongolia). Non a caso Xinjiang vuol dire “nuova frontiera”, termine rifiutato dagli Uiguri, l’etnia turkofona di religione islamica che da sempre abita in quel territorio, attraversato dalla leggendaria via della seta. Gli Uiguri costituiscono la maggioranza della popolazione (46%), ma stanno per essere superati dai cinesi han (39%), trasferiti a forza di incentivi nello Xinjiang dal governo centrale, proprio per soffocare lo spirito indipendentista che da sempre anima la maggior parte della popolazione, e che non pochi grattacapi ha creato a Pechino. Tant’è che negli anni Trenta gli Uiguri riuscirono per ben due volte a creare la Repubblica autonoma del Turkestan. Essi rivendicano l’autonomia culturale ed amministrativa dello Xinjiang, necessaria anche per gestire le risorse naturali dell’area.

Ma negli anni ‘50 la regione è tornata ad essere annessa alla Cina comunista. Da allora, le periodiche rivendicazioni di indipendenza degli Uiguri sono state sempre represse duramente dal governo cinese che, come in Tibet, ha puntato su una vasta immigrazione semi-forzata per rompere il loro monopolio etnico e trasformare in maggioranza i cinesi han, di ben più provata fedeltà. Difficile che le pulsioni separatiste, che hanno radici antiche, possano placarsi.

Lo Xinjiang è un crogiolo di 50 etnie diverse, che si sentono emarginate in casa propria dagli immigrati cinesi, che stanno godendo dei vantaggi della crescita economica. Questo ha dato ulteriore spazio al nazionalismo irredentista ed alle spinte dell’islamismo radicale, che ha trovato facile presa negli strati più irrequieti della popolazione. Lo Xinjiang, che a livello globale fa molto meno notizia del Tibet, è la vera mina vagante della Cina.
(M. I.)