Il teatro può ancora essere considerato un “servizio pubblico”?
Il teatro è molto più necessario adesso di quanto non lo fosse nell’immediato dopoguerra. Nel dopoguerra c’era un Italia da ricostruire, c’erano molte speranze, molte paure alle spalle. Adesso abbiamo a che fare con un mondo che dobbiamo capire,nei suoi cambiamenti c’è molto disorientamento , una cittadinanza tutta da ridefinire, e il teatro è il luogo dove l’essere cittadino si esprime dalla sua nascita. Se ai tempi di Paolo Grassi il Piccolo, che è stato il primo Teatro pubblico, esprimeva la necessità che il teatro concorresse alla rinascita della società, adesso ne abbiamo un bisogno sfrenato. La dimostrazione è data dal fatto che, in un periodo di profonda crisi, che colpisce la capacità di spendere delle persone, aumenta la gente che va a teatro. Ci si rivolge al teatro non come luogo di consolazione, ma come luogo in cui esorcizzare le paure che circolano, o come luogo dove si può paradossalmente colpire l’ora, imparagonabile rispetto ad altri mezzi di comunicazione come la televisione, ci consente di riflettere su quello che ci sta accadendo attorno e soprattutto su quello che si può fare perché ciò che ci accade non sia vissuto solo come minaccia. Quindi il teatro è più necessario che mai.
Quanto investe il nostro Paese sulla cultura, e quindi sul teatro?
Si può esprimere in termini numerici. La nostra finanziaria di settore, il Fondo unico dello spettacolo, una delle più belle leggi fatte nel 1985, è vanificato dal fatto che non sono seguiti comportamenti coerenti da parte di chi doveva legiferare . Oggi, nel 2010, il Fus ha un valore che è pari a un terzo di quello che aveva alla sua nascita. Il sistema complessivo dello spettacolo, dei teatri, non è certo diminuito numericamente, anzi è aumentato. Questo è il dato. Un altro riferimento può essere il confronto con altri Paesi. Siamo il fanalino di coda dell’Europa. La Francia investe il triplo di quanto investe l’Italia in questo settore, la Germania quattro volte tanto. Questo in termini numerici. Poi fino ad oggi non è mai stata fatta una legge che riconosca al teatro il ruolo e la dignità che merita. Siamo l’unico paese in Europa a non avere una legislazione sullo spettacolo dal vivo. Servirebbe anche a misurare concretamente operato e coerenza della politica Adesso finalmente ce n’è una approvata all’unanimità dalla Commissione cultura della Camera, che sarà un bel banco di prova perché costringerà il Governo a garantire un’adeguata copertura finanziaria, rispondendo non più solo alle legittime richieste del teatro, ma alla volontà espressa dal Parlamento. Di governi dall’85 a oggi se ne sono alternati tanti, e non tutti della stessa maggioranza, e non sono riusciti a tradurre in una volontà politica la dichiarazione che questo è un settore che ha una forte componente di necessità per il paese, e di dignità. Il Piccolo si autofinanzia per il 50%, lo Stato è “socio” per il 17%,, ma che non si sappia mai quale sarà l’investimento e addirittura che l’investimento sia chiuso con tagli drastici a chiusura di bilancio come è successo l’anno scorso, crea dei problemi di bilancio e soprattutto non ha niente a che vedere con la dignità della gestione di un teatro e di un impresa.
Quanto può incidere questo sulla qualità dell’offerta culturale?
E’ la volontà e la capacità di chi lavora nei teatri a tenere alto un pubblico che è aumentato in un periodo di crisi. Questo dimostra che la qualità è percepita come un fattore fondamentale.Lo stesso rispetto, la stessa capacità di far vivere i valori della nostra cultura in tutto il mondo ne è una conferma. La qualità è una delle ragioni d’essere di un investimento. Alla lunga si intacca la quantità e la qualità. Nel comporre la nostra stagione noi abbiamo una particolare attenzione per le produzioni, ma diamo anche ospitalità agli spettacoli di altri teatri, pubblici, privati, compagnie, che ci interessa presentare al nostro pubblico. Ma cominciamo a trovare con fatica spettacoli di un certo impegno produttivo ed economico da ospitare. Il che è un pessimo segnale. Oggi il Fus è a 414 milioni di euro, più un’integrazione promessa di 50 milioni. La previsioni di investimento del Fus nel 2011 è di 300 milioni. Quando c’è incertezza e precarietà le cose non possono funzionare. Ci dicono : state tranquilli che poi qualcosa si recupera, ma noi dobbiamo produrre, dobbiamo muovere risorse private, dobbiamo vendere abbonamenti, dobbiamo trovare sponsorizzazioni e come si fa a farlo in questi termini.
Come riportare i giovani a teatro?
Noi abbiamo 21mila abbonati. La metà ha meno di 27 anni. In Italia dei 200mila spettatori poco più della metà ha meno di 27 anni. Ciò significa che c’è la voglia di sentire e di ragionare, di usare le parole per riflettere su quello che ti accade intorno. C’è bisogno di teatro e i ragazzi ce lo dicono.
Quindi il teatro è competitivo rispetto ai nuovi media?
Non è competitivo, è complementare. Io ho figli in età da internet. Paradossalmente chi frequenta internet frequenta anche il teatro per la peculiarità del luogo, perché ciò che di interessante si trova navigando in internet non è la generica conoscenza di tutto, ma la possibilità di accedere a delle conoscenze specialistiche e approfondite. Il poterlo fare non certamente attraverso un interlocuzione ma in ritiro con altri è una cosa che affascina enormemente i ragazzi, i quali hanno bisogno di orientarsi, anche nei comportamenti quotidiani, di resistere a questa tentazione che circola di dirgli che il futuro è tutto nero, che non si può far niente. Il teatro è il luogo dove fortunatamente queste cose vengono smentite.
Il 27 marzo anche l’Italia aderisce alla giornata mondiale del teatro. Cosa ne pensa?
Sono contento che ci sia una giornata mondiale per riflettere e per capire che il teatro, che è il tempio della parola e della lingua, è universale come la musica. Può essere anche l’occasione per riflettere, per capire, per fare un confronto con le altre nazioni e con le politiche di sostegno al teatro