Mina vagante

Compie 70 anni il mito della canzone italiana che ci ha regalato la costante presenza della sua assenza

di Maurizio Iorio

Se c’è una cosa per la quale dobbiamo essere grati a Mina, che il 25 marzo compie 70 anni, oltre al suo immenso talento, è la costante presenza della sua assenza. Un ossimoro, che però serve a spiegare come la classe di un personaggio pubblico la si possa misurare anche nella sua capacità di sottrazione. Del suo corpo, beninteso, non della sua arte. Dal buen ritiro di Lugano la Tigre di Cremona, che si è autoesiliata al di là del confine dal 23 agosto del 1978, data del suo ultimo concerto alla Bussola di Viareggio, non ha mai mancato di far sentire la sua voce. I suoi dischi escono con regolarità, le sue rubriche su un quotidiano ed un settimanale, nelle quali dispensa consigli di vita, considerazioni varie e perfino posta del cuore, ce ne rammentano sempre l’esistenza. Sottrarsi alla routine dell’industria musicale, i concerti, le registrazioni, promozioni, interviste, viaggi, evitare il tritacarne mediatico e i confezionatori del gossip (nel 61’ fu defenestrata dalla Rai perché incinta da “signorina”, scandalo!!), è stato un atto di grande coraggio e forse di grande debolezza. Che però le ha consentito di salvaguardare la sua vita privata (solo Battisti è riuscito a fare altrettanto) e di preservare intatte la sua vivacità culturale e la sua capacità di restare al passo con i tempi, senza trasformarsi nella caricatura di se stessa, come è successo a molti dinosauri della musica.

Mina ha lavorato con Totò, Walter Chiari, Luttazzi, Alberto Sordi; Liza Minnelli l’ha definita “la più grande”, e Louis Armstrong, dopo averla sentita cantare a Sanremo, disse che era la più grande cantante bianca in circolazione, e che se avesse attraversato l’Atlantico avrebbe dato del filo da torcere ad Aretha Franklyn. C’è n’è abbastanza per farsi lievitare dentro un ego ipertrofico. Eppure, umile come solo i grandi sanno essere, la Mina di oggi ha inciso un pezzo degli Afterhours e uno di Boosta, tastierista dei Subsonica. E non manca mai, seppur a distanza, di sostenere nuovi talenti, più attenta a fiutare il vento dell’arte dei tanti Soloni delle case discografiche, i teorici dell’usa e getta. “Marco Mengoni, più potente della canzone che ha scelto, talento autentico, controllo invidiabile, gran figo con un gran futuro” (la Stampa, 21.2.2010). E’ lei la nostra Greta Garbo, meno altezzosa e più massaia. Talmente chioccia, che ormai l’appellativo di “Tigre” suona assolutamente inadeguato. Forse è per questo che la sua assenza è diventata mito. Mina ha annullato la sua immagine, non fa tendenza e non crea aspettative. Ma non ha mortificato la sua carne. E soprattutto la sua ugola. La sua voce è ancora sublime , superiore, inarrivabile. Ha cantato di tutto, dalle canzoni napoletane all’opera, attraversando i generi con la maestria di un nocchiero navigato nel mare in tempesta. In fondo, è quello che ci interessa. La sua vita privata, le sue rughe, la sua circonferenza, interessano solo ai (tanti) lettori da parrucchiere. Se le persone potessero diventare patrimonio dell’Unesco, Mina ne avrebbe tutti i requisiti.