Sembra avvicinarsi l'ultimo atto del braccio di ferro che vede contrapposti il motore di ricerca Google e Pechino. Secondo il China business news, che ha citato il funzionario di un'agenzia pubblicitaria cinese, infatti, il colosso di Montain View sarebbe intenzionato ad abbandonare definitivamente il Paese asiatico a partire dal 10 aprile con un annuncio previsto per lunedì prossimo. La società non ha tuttavia ancora confermato l'indiscrezione e la portavoce della sede a Tokyo, Jessica Powell, si è rifiutata di commentare la notizia. Alla base di questa radicale decisione ci sarebbero i sempre più frequenti contrasti fra la società californiana e il governo cinese, anche se non è ancora chiara che forma assumera' questo "abbandono".
Non è escluso che il motore di ricerca, fa notare il giornale cinese, possa decidere solo la chiusura di Google.cn piuttosto che una completa cessazione delle attività. Un "compromesso" che consentirebbe di non rinunciare al mercato virtuale più grande del mondo, con i suoi 384 milioni di utenti e di mantenere attività di ricerca, uffici pubblicitari e servizi quali Google Answers. Una soluzione per molti versi necessaria, considerato che sono la maggior fonte di introiti di Montain View in Estremo Oriente sono costituiti proprio dai banner e dalle inserzioni di societa' non cinesi export-oriented.
Una guerra sotterranea lunga cinque anni
L'ultimo e forse decisivo casus belli è stato il cyber-attacco che lo scorso dicembre ha sottratto i dati sensibili di 34 aziende hi-tech della Silicon Valley e la corrispondenza e i dati personali di molti cinesi attivisti dei diritti umani che usavano Gmail. Le indagini degli analisti americani avevano confermato la pista cinese e il un ruolo fondamentale svolto da alcune università della Repubblica popolare. Ma al di là dell'intensificarsi dei conflitti degli ultimi mesi, quella in atto con Google è una guerra sotterranea che dura da cinque anni, ovvero ben prima che l'azienda californiana arrivasse in quello che, coi suoi 384 milioni di internauti, è il mercato virtuale più grande al mondo (gennaio 2006). All'inizio erano i blocchi unilaterali imposti al motore di ricerca e la musica non era cambiata molto con lo sbarco dell'azienda nel Paese, nonostante Google per poter operare avesse accettato i filtri imposti dal governo cinese e, come diverse altre società, avesse accettato la sigla di una "promessa pubblica di autodisciplina dell'industria di Internet in Cina", con l'impegno di non permettere collegamenti ai siti contenenti informazioni "nocive". Niente ricerche sul Tibet, dunque, sulla repressione di piazza Tien An Men, sulla setta religiosa "Falung gong", sui movimenti per i diritti umani e sui siti di opposizione al regime, neppure indicizzati nei risultati.
Poi lo scorso 13 gennaio, dopo anni di contrasti latenti e il gravissimo attacco subito dagli hacker cinesi a dicembre 2009, la svolta: niente più censura, con l'abolizione degli "schermi" utilizzati. I carri armati che il 4 giugno 1989 schiacciano nel sangue la protesta studentesca e l'immagine del Dalai Lama diventano per qualche ora visibili anche all'interno della Repubblica popolare. Irritata la reazione del governo, col ministro dell'Industria Li Yizhong che parla apertamente di "un comportamento non amichevole ed irresponsabile" da parte di Google. Pochi giorni dopo, come misura cautelare, Montain View accompagna il provvedimento con una sorta di "embargo" sul rilascio di due smartphone prodotti da Motorola e Samsung e basati su Android, in attesa che la diplomazia faccia il suo corso e che i molteplici colloqui tra il governo cinese e il colosso americano trovino una soluzione di compromesso. Ma a questo punto le ripercussioni non sono piu' solo commerciali e il conflitto poco alla volta si trasferisce anche sul piano politico.
"Le accuse di Google sollevano serie preoccupazioni, attendiamo spiegazioni da Pechino", afferma il Segretario di Stato Usa, Hilary Clinton. Parole che il ministero degli Esteri cinese non esita a definire "dannose". Quale sia stato l'esito degli incontro tra Pechino e Montain View sembra ora mostrarla l'indiscrezione di un possibile ritiro "unilaterale". Evidentemente i vantaggi derivanti dalla presenza di un motore di ricerca in mandarino (che ha una quota di mercato del 35 per cento) non è ritenuta in grado di compensare la negativa ricaduta d'immagine negli Usa, anche per la virulenza degli attachi degli hacker. Sempre che quella della compagnia americana non sia solo di una scelta "tattica", nella speranza di indurre il governo di Pechino a più miti consigli.