Il mistico e il profano, Modigliani e il Modì

Nel nuovo polo artistico di Gallarate, mostra inaugurale dedicata all'artista livornese t

di Federica Marino

Un nuovo polo artistico a Gallarate, dove nel 1950 fu fondata una delle più importanti gallerie italiane di arte moderna, aperta al pubblico 16 anni dopo.

Dopo il riconoscimento museale da parte della Regione Lombardia, nel 2004, nasce oggi il nuovo MAGA Museo d’Arte di Gallarate, gestito da una Fondazione che vede tra i soci fondatori il ministero per i Beni artistici e culturali. Il passaggio istituzionale da galleria civica a museo riconosce l’importanza di sessanta anni di collezione e cinquemila opere d’arte contemporanea.

Nuovo lo status, nuova la sede, che si sviluppa su oltre cinquemila metri quadri in due ali comunicanti: a un edificio industriale degli anni Trenta, ristrutturato ad hoc, è stato affiancata una nuova costruzione dalle forme curve, quasi a includere i visitatori che arrivano dalla piazza antistante. Negli spazi interni, la collezione permanente e mostre temporanee, spazi didattici, archivi, la sede del Premio Arti Visive Città di Gallarate che fornì il primo corpus di opere, i depositi per le acquisizioni, in continuo accrescimento.

Carrà, Borlotti, Fontana tra gli artisti “residenziali” e un ospite d’eccezione per la mostra inaugurale: Amedeo Modigliani. Venti dipinti, 50 disegni, oltre 250 i documenti originali esposti, per ricostruire la vita breve e feconda dell’artista livornese, nel novantesimo anniversario della morte. Centrale nell’allestimento è il “Nu couché”, dipinto nel 1917 e oggi al Lingotto di Torino, nella Fondazione Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli. I documenti scavano nella vita, le opere partono dalla giovanile “Stradina toscana”, dipinta a Livorno nel 1898 per arrivare al nucleo principale, con una serie di nudi e dei ritratti fatti ad amici e conoscenti a Parigi.

Nato a Livorno da un colta famiglia di ebrei sefarditi che aveva conosciuto rovesci economici, Modigliani ha 22 anni quando nel 1906, dopo studi artistici a Firenze e Venezia, si trasferisce a Parigi, capitale intellettuale e artistica del momento. Tra gli amici che frequenta, Picasso, Matisse, Max Jacob, Moise Kisling e Brancusi: di alcuni di loro lascia ritratti, caratterizzati dal collo lungo che è la sua “firma”.

L’effervescente clima culturale in cui Modigliani è immerso passa anche attraverso le sperimentazioni, che diventano eccessi: troppe donne, troppo alcol, troppa droga. E una produzione febbrile. La prima personale nel 1917, chiusa il giorno dell’inaugurazione per i nudi esposti. Lo stesso anno Modigliani conosce Jeanne Hébuterne, sua modella e compagna fino al giorno della morte dell’artista, il 27 gennaio 1920. Lei, incinta all’ottavo mese e madre di un’altra bambina avuta da Modigliani, si uccide il giorno dopo. Con una biografia simile, è difficile disgiungere vita e opere, quando già il soprannome parigino di Modigliani, Modì, suona identico a “maudit”, quel maledetto accostato ai tormentati poeti francesi, da Baudelaire a Rimbaud.

Del resto, la concezione romantica del poeta che, incompreso dalla società, si autodistrugge lasciando opere sublimi è radicata in Francia fin dal Romanticismo e Modigliani - come tanti artisti prima e dopo di lui – vi si attaglia. Con il rischio costante, per lui e per gli altri, di venire offuscato nel pensiero artistico dalla sua biografia confusa.

Uno sforzo di trasparenza è quello della mostra del MAGA, per rappresentare il percorso di Modigliani in modo laterale rispetto alla biografia, così da farne emergere l’ispirazione più essenziale e meno legata al quotidiano del pittore, che spesso disegnò in cambio di vino.

Claudio Strinati, presidente del comitato scientifico, sottolinea l’importanza attribuita dalla mostra al periodo giovanile, che tra i punti focali evidenzia la fedeltà alle proprie origini culturali del giovane Amedeo, proiettato sulla scena frenetica di Parigi. Nel brodo di cultura che mescola primitivismo e avanguardie, Modigliani porta con sé dall’Italia la Divina Commedia imparata a memoria e poi “schizzata” in una serie di disegni preparatori. Usa i colori caldi delle terre toscane per ritratti che sfiorano l’astrattismo, nei loro sguardi lontani e interiori. Si contamina ma resta puro e accoglie le suggestioni del mondo, per poi digerirle in uno stile che è solo suo. Vita e arte coincidono in un senso nuovo: quello di una vita vissuta come “prova di artista”, un tempo di apprendistato continuo che sembra non distinguere tra azioni ed opere.

Approfondisce l’ispirazione ebraica dell’artista Davide Brullo, che sottolinea una nuova scissione in Modigliani, richiamata dal titolo della mostra: se a Gallarate si celebra “Il mistico e il profano”, l’”ebreo Modigliani” è insieme demoniaco – per la risaputa vita da maledetto – e divino, angelico perché ritrae volti e corpi con segni che ne sorpassano la corporeità, con una raffigurazione “pre-umana”, come prima dell’uomo c’erano gli angeli. Nato e cresciuto negli ambienti colti della comunità livornese, Modigliani è un raffiguratore di immagini nato dal popolo che le rifiuta nel culto e le guarda con sospetto altrove, come tentata imitazione del ruolo creatore divino. Quasi a sfuggire inconsciamente un problema ontologico oltre che culturale, nei suoi ritratti Modigliani abbandona il reale per trasformare in segni i volti e i corpi che dipinge o scolpisce. Non li rende per questo meno vivi, ma li allontana in qualche modo dalla realtà, a partire dagli occhi senza tempo che guardano altrove: come dei mistici, come degli angeli caduti nel mondo.

Un approccio emotivo alla critica d’arte sembra quello proposto da Beatrice Buscaroli, biografa di Modigliani per il Saggiatore e docente di arte contemporanea a Bologna: un modo originale per ricomporre il divario vita-arte, passando attraverso una lettura partecipata delle opere di Modigliani. Lo scopo è quello di superare la fama di Modigliani, per tornare alla sua arte, staccata dal personaggio ma non dalla persona. Esiste un “problema Modigliani”, ed è forse quello di non riuscire più (ancora?) a dargli un posto che sia solo suo all’interno del periodo che ha vissuto, lui così se stesso al centro di tante influenze, cubismo e fauves, dada e futurismo.

Modigliani resta se stesso perché, legato a una tradizione antica, si proietta verso un’arte che con il ritorno alle origini cerca eternità, essenza, universalità: quella “idea dell’opera” di cui parla nelle lettere giovanili a un compagno di studi dell’Accademia fiorentina.

Modigliani non riesce a essere se stesso fino in fondo, perché è la scultura il suo fine ultimo: non ha tempo, non sa scolpire nella pietra quello che su tela gli riesce tanto bene e infatti distrugge regolarmente le proprie sculture. Le famose teste, simili a quelle di una colossale burla a Livorno nel centenario della nascita, erano parte di un progetto più ampio, aveva spiegato a un amico: oggi in molti musei si perpetua un equivoco, quello della compiutezza dell’opera scolpita di un artista così drammaticamente insoddisfatto di sé come scultore.

E c’è il pittore amato dal pubblico e dal mercato. Una popolarità nata dalla leggenda bohémienne, che finisce per oscurare l’idea artistica – nelle tele sì pienamente raggiunta - e a fare dimenticare il rigore con cui Modigliani la perseguì: attingendo alle correnti che lo attorniavano, senza mai dimenticare l’approdo.