Speciale


Stampa

'La nostra attività rimarrà nella storia'

La portaerei Cavour e il lavoro della missione 'White Crane' bambini_haiti_296

“Questa nostra attività rimarrà nella storia dell’Italia perché ha permesso di far lavorare in una situazione di emergenza marinai, volontari, vigili del fuoco, soldati, Ong. Una missione che parte dal presupposto che l’unione fa la forza e che insieme è possibile riuscire ad alleviare il dolore e la distruzione di un terremoto così violento come quello che ha colpito Haiti”.

Il capitano di vascello Gianluigi Reversi è il comandante della Cavour, la portaerei della Marina militare, che dal primo febbraio scorso è ancorato a Port-au-Prince e che gestisce le attività dell’operazione “White Crane”.

Partita dall’Italia il 19 gennaio, ha portato nell’isola aiuti umanitari messi a disposizione dal governo, dal World Food Programme, Croce Rossa e altre associazioni. Da questa nave ogni mattina partono i militari impegnati nelle attività di emergenza. 871 sono marinai, 123 militari dell’esercito in gran parte provenienti dal “Genio” della Brigata alpina Julia. Vi sono poi medici militari, piloti e personale del gruppo subacquei del Consubin che hanno messo su una camera iperbarica per trattare, attraverso la terapia dell’ossigeno, gli infortuni di molti haitiani. Una struttura d’eccellenza che ha permesso di salvare decine di persone. Importante anche la presenza di attrezzature per la Tac e la telemedicina collegata con gli specialisti medici dell’ospedale militare del Celio di Roma.

“Ogni mattina i nostri militari vanno a terra per rimuovere le macerie, ricostruire ponti, mettere in sicurezza edifici e strutture pubbliche. Dopo il lavoro, si torna qui aspettando di affrontare un’altra giornata”. Il tenente di vascello Michele Carosella è il portavoce della missione “White Crane”, anche lui ad Haiti dal primo febbraio. E anche lui soddisfatto del lavoro finora fatto e del rapporto con la popolazione.

“Stiamo cercando di integrare la gente, di far capire l’importanza di impegnarsi attivamente nell’opera di ricostruzione. E’ determinante dare questo segnale anche per il dopo-emergenza, quella fase che arriverà e che non deve trovare impreparati gli haitiani. La gente risponde benissimo, ha la voglia di rimettersi in gioco e apprezza il nostro impegno. Così come il tricolore che entra in tutta l’isola quando arriviamo ogni giorno tra la gente a lavorare. Abbiamo aiutato il complesso dei Salesiani distrutto dal sisma. Ora sta tornando alla normalità, con aule rimesse in attività, laboratori per attività pratica. E’ stato importante anche far ripartire l’ospedale di Saint Damian e la scuola delle Piccole sorelle del Vangelo. Tutte strutture che prima del terremoto rappresentavano un punto di riferimento per gli haitiani”.

L’operazione “White Crane” ha anche permesso di collocare sull’isola presidi avanzati di medicina, strutture che possono essere la prima risposta alle esigenze sanitarie. Sono tutti in collegamento con le strutture ospedaliere ripartire grazie all’impegno di Paesi donatori e all’attività italiana sull’isola. Aiuti materiali a parte, tra i “gioielli” della missione italiana c’è sicuramente uno dedicato ai bambini.

L’esperimento è stato condotto a Saint Marc, una cittadini a nord dell’isola. La psicoterapeuta Chiara Borgini con alcuni colleghi ha creduto nel primo momento del suo arrivo ad Haiti al progetto che in gergo viene definito Emdr (Eye movement desesitisation and re processing), ovvero la tecnica usata in caso di catastrofi naturali e che modula le emozioni legati ai traumi. Borgini ha chiesto alle decine di bambini raccolte sotto l’occhio di Suor Mary, una religiosa irlandese, di fare dei disegni.

Non erano abituati a scuola a disegnare a mano libera ma solo con squadre e righelli e soprattutto sempre con un tema imposto. E’ stato chiesto di fare due disegni, uno che rappresentasse un luogo che li facesse sentire al sicuro e l’altro su cosa avesse fatto paura durante il terremoto. Molti hanno disegnato la loro casa, come posto di sicurezza, qualcuno un elicottero (il mezzo più visto durante gli aiuti alla popolazione). Al secondo tema proposto quasi tutti hanno risposto disegnando corpi di persone in mezzo alla strada, sepolti nelle case. Per concludere l’esperimento, ma soprattutto una “liberazione dell’anima”, è stato chiesto di disegnare un tema libero. E in questo caso quasi tutti hanno rappresentato una nave, ognuno con la bandiera che ricordava. Un modo per dire grazie agli aiuti arrivati dal mare e che superano la forza “Wudu”.