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Dopo il sisma costruire Haiti

L'impegno italiano a due mesi dal terremoto che ha devastato l'isola

Di giorni dalle 16.53 del 12 gennaio scorso ne sono passati relativamente pochi. O, forse, per chi ha meno del niente, tanti. La violenta scossa di magnitudo 7 che ha colpito l’isola di Haiti ha inferto un ennesimo colpo ad un Paese ancora da costruire e che tenta contemporaneamente di ricostruirsi. Dopo poche ore dal terremoto il mondo si è mobilitato per portare aiuti ma, soprattutto, per tentare di capire cosa si potesse fare.

Così come i Paesi Ue che hanno risposto all’emergenza attivando il cosiddetto “Meccanismo europeo di protezione civile”, ovvero il coordinamento dell’assistenza fornita dai 27. L’Italia si è mobilitata con estrema tempestività. A soli 26 ore dal disastro ha, infatti, inviato un team avanzato formato da personale della Protezione civile, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, Difesa.

Da allora è partita, ed a ancora a oggi attiva, l’operazione di assistenza coordinata dalla Protezione civile che vede impegnati la nave Cavour della Marina militare e reparti dei Vigili del Fuoco. Una missione che in gergo si chiama “interforze” e che lascerà il segno nella storia delle emergenze.

Camminando per le strade, o per quel che rimane di Port-au-Prince, ci si imbatte in quella che solo apparentemente può sembrare immobilismo. E’ qualcosa di più, perché ancorato alla tradizione “Wudu” dove tutte le negatività sono “volontà di Satana” alla quale è difficile, se non impossibile, opporsi. E così vicino a decine di donne che fanno il bucato, ci sono altrettanti uomini che cucinano, preparano frutta e verdura da vendere in inimmaginabili catini. Mini banchetti in mercati improvvisati all’aria aperta, dove intorno pullulano bambini e giovani fiacchi, sfibrati dalla fretta della vita e dall’insostenibile “destino” di una credenza popolare che cerca di dare spiegazioni a tutto.

Come il caso dell’Aids che per quasi tutti gli haitiani è “qualcosa che proviene dal male” e per questo non ci si può opporre. A niente, secondo questa teoria, serve la prevenzione.

In questo scenario di miseria e rassegnazione, si muovono i volontari della Protezione civile, i vigili del fuoco, i militari imbarcati sulla nave Cavour. Una mobilitazione per arginare, almeno per il momento, il ricordo indelebile dei 200 mila morti accertati e di altre 100 mila vittime che tutto, ormai, danno per ufficiali.

“Il sisma ha distrutto moltissimo ma questo molto era già di per sé precario. Ora siamo nella fase di medio-termine, nella quale bisogna pensare a stabilizzare la quotidianità della popolazione e tentare di gettare le basi per il futuro”. Luigi D’Angelo è il responsabile della struttura della Protezione civile ad Haiti. E’ arrivato nell’isola caraibica poche ore dopo il terremoto e da allora è ancora a Port-au-Prince. Coordina volontari, militari, vigili del fuoco per arginare l’emergenza abitativa, sgomberare intere aree dalla macerie, far tornare alla normalità la vita degli haitiani.

“Abbiamo allestito oltre 900 tende in 9 zone della capitale che rappresentano un tetto per più di 15 mila persona. Cento tende sono state destinate alle attività scolastiche e ospitano 30 bambini ognuna per due turni di insegnamento. Altri sforzi sono destinati alle strutture ospedaliere che lentamente stanno tornando alla normalità. In questo momento stanno operando Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti e Canada. Tutti insieme per risolvere problemi che il terremoto ha solo acuito ma che sono la costante di un’isola che per molti aspetti non è stata mai costruita”.

L’ingegner D’Angelo, che tra un dato tecnico e una sintesi del lavoro non dimentica di parlare degli sguardi “prigionieri” del destino degli haitiani, insiste su un aspetto molto importante: “Quando la cronaca deciderà di spegnere i riflettori su Haiti, è necessario continuare a lavorare per stabilizzare l’isola. L’Italia ha già predisposto l’invio di 130 carabinieri per contribuire al tentativo di tornare alla normalità e dare sicurezza alla popolazione”.

Nel frattempo, anche oggi, i volontari della Protezione civile sono in giro per le strade della capitale. Con l’aiuto dei militari e dei vigili del fuoco continuano a ripulire le macerie, assistere i bambini nelle scuole, distribuire generi di conforto e ripristinare le vie di collegamento, con la consapevolezza, come dice D’Angelo, “di aver fatto e fare il possibile senza aver risolto, però, le problematiche di Haiti. Quelle che incombono sull’isola già prima di quel 12 gennaio quando “Satana” ha deciso per gli haitiani”.