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Un'occasione di incontro e di scambio per i giovani

Parlano gli organizzatori del Festival brian_green_296

“Il contest hip-hop, ossia la gara, è nato 10 anni fa per far scontrare ed incontrare le scuole provenienti da tutta Italia – dice Cristina Gastaldi, organizzatrice del festival – “il contest di break-dance è nato invece 4 anni fa. Dai 30 gruppi iniziali siamo arrivati ad un centinaio. Visto che l’evento ci è lievitato in mano, abbiamo deciso di invitare anche professionisti internazionali, come Mr.Wiggles e Brian Green, che vengono in Italia solo per lo YoFest.

C’è molta carne al fuoco nel programma…
”Sì, per questo abbiamo deciso la formula del contenitore unico, per dare più possibilità di confronto a ragazzi che vengono da tutta la penisola”.

E’ diversa la nostra dance da quella americana?
“In parte sì – interviene Marco Sabatini, il deus ex-machina dell’organizzazione - perché da noi viene vissuta non come una guerra fra gruppi ma come un genere di danza”.

L’ approccio artistico non rischia di tradire le origini della breakdance?
“Non credo. La urban dance è un’arte a tutti gli effetti, ma non si può eliminare il gusto della sfida, che è il modo con cui i ragazzi vivono la danza. E’ la sua spinta primordiale; anche se diventa un’arte, quella rimarrà la sua peculiarità”.

Qual è la composizione sociale dei praticanti?
“Media borghesia, classi abbienti. In una tipologia come la breakdance, che è una danza individualistica ed energica, ci sono anche persone che vengono dalla strada. Ma oggi tutti fanno tutto. La situazione del disagio, dei ghetti neri è superata”.

Solo in Italia?
“No, in tutta Europa, anche in Giappone e Corea. Basti pensare che adesso i più forti al mondo sono i coreani”.

Può dipendere dal fatto che da noi non c’è la componente nera della popolazione?
“No, dipende dalla composizione sociale del paese. La Francia, ad esempio, che ha una situazione demografica simile a quella degli Usa, con forti componenti cosmopolite, è molto più vicina all’America degli altri paesi europei”

E’ stato Michael Jackson a popolarizzare la danza urbana?
“Bè, il “Moonwalk” di Jacko è indimenticabile. E’ il passo più significativo, che ha reso noto al grande pubblico un certo tipo di gestualità. E’ comunque la breakdance, che è la parte a terra, l’elemento più identificabile di questo mondo”.

La componente della sfida è sempre la linea guida della breakdance?
“Assolutamente sì. La break è stata la prima forma di espressione di quella che poi è diventata la cultura hip-hop. Il rap è arrivato dopo”. Le hip-hop dance sono individuali? “Nascono come danze individuali, che poi hanno avuto uno sviluppo di gruppo. I gruppi si chiamano crew” .

Però manca la componente sessuale tipica di tutti gli altri balli, il contatto fisico fra uomo e donna…. “Qui la componente è solo atletica. Il desiderio di apparire e superare l’avversario in bravura è il filo conduttore della break".

Perché i ballerini sono quasi tutti uomini?
“Per la break siamo quasi al 100 % di maschi. Dipende dalla componente fisica, perché c’è uno sforzo atletico non indifferente. E poi c’è l’ atteggiamento, perché sia nelle movenze che nell’ espressività è una danza molto mascolina. Le ragazze sono una minoranza. Loro si trovano più a loro agio nella danza hip-hop, quella in piedi”.

Quanta gente la pratica in Italia?
“Credo centinaia di migliaia. Ma è difficile fare un monitoraggio”.