“La stagnazione dei consumi dura da 10 anni. E in realtà negli ultimi 20 non è che siano cresciuti molto. Questo fenomeno colpisce in modo trasversale, orizzontale tutte le tipologie commerciali. Naturalmente nei momenti di crisi i grandi hanno la possibilità di comprimere i margini e di sfruttare le economie di scala in modo superiore rispetto ai piccoli”.
E’ il quadro socio-economico tratteggiato per Televideo dal direttore della Confcommercio, Mariano Bella. “Per quanto riguarda l’evoluzione di una diversa collocazione spaziale di negozi piccoli e medi (che noi chiamiamo centri commerciali e che si posizionano in genere nella periferia o sulle grandi vie d’accesso alle città), si può già dire che il fenomeno è in atto. Sta mutando la struttura del commercio tradizionale che rappresenta la spina dorsale dell’Italia delle 100 città e degli 8.100 comuni, che dal Medioevo ad oggi ha costituito la caratterizzazione socio-economico urbanistica del nostro Paese”.
Che fare? Come porvi rimedio?
“Il problema -dice Mariano- non è tanto di stabilire se una cosa è migliore dell’altra. Noi sosteniamo le ragioni del pluralismo distributivo. I consumatori devono poter andare dove e quando gli pare per effettuare i loro acquisti in modo gradevole vivendo anche un’esperienza di consumo. I centri commerciali non sono antitetici al piccolo negozio, ma sono una forma complementare e aggiuntiva”.
Ma qual è il rischio concreto di questo processo?
“L’Italia rischia comunque una mutazione dei propri prodotti nella misura in cui la crisi per ragioni macro-economiche dovesse distruggere il tessuto dei piccoli centri storici. Noi non facciamo battaglie di retroguardia, ma diciamo: attenzione alla desertificazione dei nostri mille borghi e al possibile effetto banlieue”.
I piccoli negozi, nell’ultimo biennio, hanno subito una riduzione di saldo nati-mortalità di 36 mila unità. Un dato in crescita preoccupante. “I negozi che hanno pagato di più sono quelli alimentari che hanno costituito il tessuto urbano tradizionale dei centri storici: macellerie, pescherie, fruttivendoli e panetterie. I marginali scompaiono e gli innovativi si rafforzano.” F. Ch.