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Crisi, parla Sangalli

Intervista al presidente di Confcommercio. Chiede 'meno pressione fiscale e innovazione nei servizi'. '16mila piccole imprese in meno. E quando chiude un negozio, è un pezzo di città che muore' G

Di Francesco Chyurlia

E’ un tifoso sfegatato del Milan e non perde occasione per ricordarlo. Nel suo ufficio a Milano, quando si apre la porta, partono le note dell’inno rossonero. Carlo Sangalli, lo scorso 4 marzo è stato rieletto per la seconda volta e ad acclamazione presidente della Confcommercio, la confederazione che conta circa 740 mila imprese associate del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti per un totale di 1.700.000 lavoratori dipendenti e 2.800.000 addetti. Cifre ben diverse dalle 4.000 anime che popolano Porlezza, paese sul lago di Como che vede i natali di Sangalli. Ma la sua vita professionale esce presto dai confini di Porlezza. Si laurea in giurisprudenza e diventa protagonista del mondo terziario milanese, poi lombardo e infine nazionale. Dall’aprile 1998 ricopre l’incarico di Vice Presidente della Fondazione Cariplo. Nel 2004 diventa vice-presidente della Fiera di Milano S.p.A. Dal 2000 al 2006 è stato presidente di Unioncamere ( Unione delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura). Dal 1968 al 1992 è stato Deputato al Parlamento. Nel 1976 è stato Sottosegretario di Stato al Turismo e Spettacolo.

Presidente, lei è stato riconfermato alla guida di Confcommercio per i prossimi cinque anni, fino al 2015. Si è posto nuovi obiettivi per questo suo secondo mandato?
Certo. Rafforzare, innanzitutto, la “missione” di rappresentanza delle imprese italiane per valorizzare sempre di più il ruolo delle Pmi e, in particolare, dell’economia dei servizi nel dialogo sociale e nelle scelte di politica economica. Perché il mondo dell’impresa diffusa è una risorsa fondamentale per contrastare la disoccupazione e irrobustire il ritorno alla crescita.

E progetti rivolti all’interno del vostro sistema associativo?
Abbiamo un obiettivo tutto interno che è quello di modernizzare ulteriormente l’architettura organizzativa della Confederazione valorizzandone i livelli regionali e promuovendo la costituzione di forti federazioni di settore. Un grande impegno, insomma, che porterà anche ad importanti investimenti - in tecnologie, in comunicazione e formazione, in strumenti e contenuti per il marketing associativo - finalizzati al rafforzamento dell’azione di rete di tutto il sistema confederale.

I consumi sono una delle note dolenti della crisi. Come sono le prospettive economiche?
Beh, certamente la fase più acuta della crisi è alle spalle e, in maniera alterna, registriamo da alcuni mesi timidi segnali di ripresa. Ma la prudenza è d’obbligo perché resta l’incognita della disoccupazione che potrebbe incidere negativamente sul reddito e sul clima di fiducia delle famiglie. E questo rallenterebbe ulteriormente la fase di uscita dalla recessione. Comunque, le nostre previsioni per l’anno in corso vedono il Pil a +0,9% e consumi a +0,7%.

Ma è vero che il commercio, soprattutto il comparto dei piccoli esercizi, sta soffrendo e rischia di scomparire?
La crisi ha colpito duramente tutto il settore distributivo e non ha fatto sconti a nessuno. Ma chi ha pagato il prezzo più alto sono stati sicuramente gli esercizi al dettaglio che nel 2009 hanno registrato una contrazione di oltre 16 mila unità. Insomma, non si può parlare di una vera e propria desertificazione, ma in molte città alcune insegne si sono già spente. E quando chiude un negozio è un pezzo di città che muore. Non dimentichiamoci che i piccoli negozi negli insediamenti urbani hanno una precisa funzione sociale.

Cosa chiedete al governo per far ripartire l’economia?
La priorità è quella di avviare una nuova stagione di riforme, prima fra tutte quella del fisco per una riduzione strutturale della pressione fiscale sia sui redditi da lavoro che sulle imprese. Così come è importante sostenere l’innovazione nei servizi che, ricordo, rappresentano ben oltre il 40% del Pil e dell’occupazione del nostro paese e da cui potrà venire una importante spinta alla crescita. E proprio per questo abbiamo abbiamo fatto una richiesta.

Quale?
Ormai, la terziarizzazione dell’economia non è solo una tendenza italiana ma mondiale visto che, sin dal 1990, in tutto il mondo, si esportano sempre più servizi che beni. E’ quindi ora che il Governo metta in campo una politica per i servizi, fatta di sostegno all’innovazione e alla riqualificazione del capitale umano, di potenziamento infrastrutturale, di un più agevole accesso al credito, di valorizzazione del turismo. Al centro del dibattito della ripresa economica e nell’agenda di Tremonti c’è la riforma fiscale. Tutti richiedono maggiore equità. I sindacati ritengono prioritario ridurre le tasse sui redditi dei lavoratori dipendenti … Partiamo pure dai redditi da lavoro verificando la possibilità di ampliare e rendere permanenti le misure di riduzione del prelievo fiscale sui premi di risultato e sugli incrementi salariali derivanti dalla contrattazione di secondo livello. Ma occorre anche affrontare i nodi del progressivo superamento dell’Irap, della riduzione delle aliquote Iva per il turismo, allineandole ai livelli più competitivi praticati da altri Paesi europei, della riapertura in sede europea della discussione sulla fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno.

Quali segnali state registrando sul fronte del credito e del rapporto con il sistema bancario?
La nostra ultima rilevazione trimestrale conferma il permanere di alcune difficoltà per le piccole e medie imprese, soprattutto nel Mezzogiorno, che ancora soffrono della rigidità del sistema bancario. Alludo, in particolare, al peggioramento dei costi del finanziamento e dei servizi bancari complessivi e all’aumento del numero di imprese che hanno ricevuto un ammontare di credito inferiore alla loro richiesta. Certo i margini per migliorare il rapporto tra banca e impresa sono ancora molti e comunque è indispensabile che il governo italiano si adoperi in sede europea per modificare i parametri di Basilea due.

Ma come stanno andando gli accordi che avete siglato con le banche?
L’obiettivo di queste intese è proprio quello di contrastare con più efficacia la fase finale della crisi e accompagnare le imprese nella fase di ripresa. Ciò, nella consapevolezza che è proprio a livello territoriale che l’impresa deve poter disporre di un sistema di relazioni efficaci, in primis con i propri partner finanziari. Si tratta in sostanza di recuperare quel rapporto di prossimità tra banche e imprese che nella storia dei processi di sviluppo del nostro Paese si è sempre dimostrato fruttuoso. A questo riguardo, è importante evidenziare come proprio attraverso tali accordi, questo modello non solo viene riproposto, ma opportunamente rilanciato.


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