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'Attesi in Europa oltre un milione di migranti all'anno'

Intervista al professor Salvatore Strozza, Università di Napoli Federico II immigrati_296

La popolazione mondiale continua a crescere. Con quali conseguenze?

“Per i prossimi 40 anni è prevista una crescita ancora eccezionale della popolazione africana, che raddoppierà la sua dimensione sfiorando i 2 miliardi di persone, e una crescita consistente anche della popolazione asiatica, che aumenterà di oltre un miliardo superando i 5,2 miliardi di abitanti. Circa il 90% dell’incremento demografico dei prossimi decenni sarà concentrato nel continente asiatico e in quello africano, che insieme accolgono attualmente i tre quarti della popolazione del mondo e che avranno nel 2050 i quattro quinti degli abitanti del Pianeta.

Nei Paesi meno sviluppati ci saranno circa 1,1 miliardi di persone di 20-59 anni in più, incremento che determinerà una forte spinta, sia alla mobilità interna dalle aree rurali verso le aree urbane, sia all’emigrazione verso le regioni più ricche del Pianeta che nello stesso periodo vedranno ridursi la loro popolazione in età lavorativa.

Nelle previsioni delle Nazioni Unite si evidenzia in media un flusso netto annuo di circa 2,4 milioni di migranti diretto verso i Paesi maggiormente sviluppati, in oltre la metà dei casi verso quelli del Nord America.

Ma nei Paesi meno sviluppati si accrescerà di 1,1 milioni anche la popolazione ultrasessantenne, tanto che il tema il processo di invecchiamento assumerà anche in questa regione del mondo un notevole rilievo”.

Che scenario immagina per l'Italia e l'Europa intorno al 2050?

“L’ulteriore auspicato declino della mortalità, che si sta avendo nelle età adulte e in quelle avanzate, e il perdurare di una fecondità purtroppo bassa o bassissima, comunque al di sotto del livello di sostituzione (uguale a poco più di 2 figli per donna), comporteranno un intenso mutamento nella struttura per età della popolazione europea con un progressivo, rapido e irrefrenabile invecchiamento (in 40 anni le persone con 60 anni e più passeranno dal 22 ad oltre il 34% della popolazione europea, con gli ultraottantenni che raggiungeranno il 10% del totale).

È questo forse il cambiamento più significativo che richiederà un’adeguata e tempestiva riorganizzazione sociale che garantisca la sostenibilità del sistema (ad esempio, molti economisti hanno seri dubbi sulla tenuta dei sistemi di previdenza sociale) e nello stesso tempo consenta di soddisfare i nuovi bisogni degli individui e delle famiglie. Probabilmente andrà ulteriormente ridefinita l’età alla vecchiaia, alla luce delle migliori condizioni di salute e delle maggiori possibilità di sopravvivenza, garantendo alle persone che lo vorranno una più lunga partecipazione alla vita attiva.

La riduzione della popolazione in età lavorativa (in 40 anni le Nazioni Unite prevedono 100 milioni di persone in meno nella fascia d’età 20-59 anni) comporterà una consistente immigrazione dai paesi extraeuropei, necessaria per sostenere la domanda di lavoro delle imprese e delle famiglie. Nelle proiezioni delle Nazioni Unite è già previsto che il continente europeo sperimenti nei prossimi 40 anni un’immigrazione netta dal resto del Mondo di circa un milione di persone in media all’anno. È noto però come le previsioni dei flussi migratori risultino particolarmente difficili poiché vari sono i fattori che entrano in gioco nel determinare la dimensione e la direzione degli spostamenti. È pertanto possibile che l’immigrazione possa risultare nei prossimi anni anche sensibilmente più consistente di quella ipotizzata nelle elaborazioni delle Nazioni Unite.

L’Italia è uno dei paesi più avanti nel processo di invecchiamento della popolazione (26% di persone con 60 anni e più), per effetto di una fecondità ormai da diversi anni una delle più basse al mondo (per oltre 10 anni tra 1,1 e 1,3 figli per donna e negli ultimi anni risalita a 1,4), oltre che per un innalzamento dei livelli di sopravvivenza in linea con gli altri paesi sviluppati. Il nostro paese ha quindi il ruolo impegnativo di battistrada in questo processo di cambiamento della società. Inoltre, per mantenere un numero di persone in età lavorativa pari a quello attuale sarebbe necessaria un’immigrazione in media di oltre 200 mila persone all’anno nel prossimo decennio e di quasi 400 mila in quello successivo, senza contare i ricongiungimenti familiari.

Quali ricette per un continente che invecchia? E' convincimento diffuso che occorrono in molti paesi europei politiche concrete che incoraggino le donne ad avere più figli. Appare necessario introdurre politiche migratorie capaci di favorire l'arrivo di un numero adeguato di immigrati e il loro inserimento nel mercato del lavoro e nella società di accoglimento. Servono investimenti significativi nell'istruzione e nella formazione poiché meno cervelli dovranno pensare e produrre di più”.

Crescita demografica e cambiamento climatico: cosa ci aspetta?

“Diversi studiosi sostengono che la crescita demografica sia una componente certamente non secondaria di quel complesso di fattori che sta producendo i cambiamenti climatici del nostro Pianeta.

L’accrescimento della popolazione di circa 2,3 miliardi nei prossimi 40 anni inciderà in modo non trascurabile sugli equilibri ambientali e climatici dei prossimi decenni. Tale incremento demografico è completamente ascrivibile ai Paesi meno sviluppati che finora sono quelli che hanno inciso molto poco sull’inquinamento atmosferico e sul riscaldamento del Pianeta, problematiche quasi completamente imputabili ai Paesi maggiormente sviluppati.

Ma diversi studiosi sostengono che proprio i paesi poveri, nella rincorsa allo sviluppo, saranno quelli che richiederanno maggiormente prodotti ad alto contenuto energetico e derivanti da materie prime non rinnovabili, producendo un alto impatto ambientale. Viceversa i paesi ricchi, con un sistema produttivo terziarizzato ed una domanda di beni e servizi sempre più dematerializzati, orienteranno la loro crescita aggiuntiva verso prodotti dall’impatto ambientale contenuto.

Poiché la crescita demografica riguarderà pressoché esclusivamente i paesi poveri, che hanno la necessità di soddisfare i bisogni elementari, l’impatto aggiuntivo sull’equilibrio ambientale potrà risultare nei prossimi anni davvero eccezionale. Senza contare che la crescita della popolazione sarà addensata nelle megalopoli e nelle conurbazioni di grandi e medie dimensioni, dove si registrerà una concentrazione delle emissioni dannose all’ambiente e alla salute, sempre che non si riesca a modificare il sistema produttivo e gli stili di vita e ad introdurre una razionalizzazione dei consumi energetici”.