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'L'allarme demografico è sopravvalutato'

Intervista al profesor Gustavo De Santis, Università di Firenze e www.neodemos.it popolazione_296

Gli allarmi sull'incremento demografico, lanciati dai rapporti dell’Onu e del Population Reference Bureau, sono stati seguiti da interventi di senso opposto, secondo i quali la "bolla demografica" è destinata a sgonfiarsi da sola. Sono solo due modi diversi di valutare lo stesso fenomeno?

“In fondo sì. Le stime e le previsioni delle Nazioni Unite per il periodo 1950-2050 portano alla figura che riproduco qui sotto.




Se si guardano solo i paesi ricchi, si vede che la popolazione sostanzialmente non crescerà nel prossimo futuro - e la piccola crescita (da 1,2 miliardi nel 2000 a 1,3 miliardi nel 2050) si deve in buona parte alle immigrazioni, che contribuiscono anche a sostenere la fecondità. Nei paesi meno sviluppati, invece, la crescita continua : da 5,3 miliardi oggi a 7,9 miliardi nel 2050. Ma anche lì, verso la metà del secolo, la crescita si arresterà. Complessivamente la popolazione mondiale, oggi di circa 7 miliardi, dovrebbe fermarsi a circa 9 miliardi, o poco più”.

Un libro pubblicato un mese fa dal britannico Fred Pearce prevede un'implosione demografica entro pochi decenni, prima in Europa e poi nel mondo. E' uno scenario realistico?

“Sull'ultimo numero di Foreign Affairs, Jack Goldstone ha pubblicato un articolo dal titolo provocatorio ("La nuova bomba demografica. I 4 megacambiamenti demografici che cambieranno il mondo"), e dai contenuti allarmistici. Anche lì si lanciano grandi allarmi, che in sintesi sarebbero i seguenti:

1) Europa e Nord America peseranno sempre meno nel mondo, sia demograficamente che economicamente;
2) dramma dell'invecchiamento della popolazione nei paesi oggi ricchi;
3) forte crescita dei giovani nei paesi più poveri, dove non troveranno né formazione adeguata, né lavoro. Solo esasperazione e fanatismo (anche religioso);
4) forte crescita della popolazione urbana (già oggi pari a circa il 50% di quella totale, nel mondo), soprattutto nei paesi poveri dove grandi città = bidonville e miseria.

Questo solo per dire che ogni tanto (veramente: ogni poco), c'è qualcuno che lancia un allarme di tipo vagamente demografico, che deriva banalmente dall'estrapolazione di tendenze recenti. Ora, è vero che la demografia ha una sua forte inerzia (le cose cambiano lentamente, ed è difficile intervenire per portarle su un corso diverso) ma non è vero che le cose non si aggiustano. La fecondità, una volta troppo alta, è ovunque in calo; la durata media della vita si sta allungando ovunque nel mondo (segno che le condizioni di salute migliorano); dove la popolazione invecchia e cresce meno arrivano immigrati; ecc. L'Europa quindi non imploderà: la fecondità crescerà leggermente (lo sta già facendo: in Italia, per esempio) e arriveranno immigrati dai paesi più poveri e più fecondi. Come sempre è avvenuto nella storia del mondo, e anche dell'Europa e dell'Italia.

Il mito della razza pura e quello, collegato, delle frontiere chiuse, sono storicamente una grossolana falsità (ovunque e sempre) e come programma politico sono slogan irrealizzabili. E se, per disgrazia, venissero attuati le conseguenze sarebbero negative: l'invecchiamento demografico in Italia, ad esempio, sarebbe rapidissimo, e tutto ne soffrirebbe, dall'economia ai servizi alle persone; dalle scuole al mercato degli alloggi, e così via”.

Tutte le ricerche indicano un inesorabile invecchiamento della popolazione non solo in Occidente, ma anche in Cina e nelle aree meno sviluppate del mondo.

“Tendo a pensare che quello dell'invecchiamento sia un problema sopravvalutato. Le difficoltà che esso pone sono, per semplificare, di due tipi: previdenziali e sanitarie.

Il problema previdenziale nasce (e in alcuni paesi, tra cui l'Italia, diventa particolarmente grave) perché è una costruzione sociale concepita per una certa realtà demografica (quella in cui si crea il sistema, quando la popolazione è giovane e in crescita) ma che si applica poi a una realtà demografica diversa (popolazione anziana e in tendenziale declino). Ovviamente, i conti non tornano. Ma, a mio parere, il problema sta negli errori e nella rigidità del sistema previdenziale (che non si adatta abbastanza rapidamente alle cose che cambiano), non nell'invecchiamento. Le soluzioni, qui, esistono. E dovremo obbligatoriamente trovarle: l'unico dubbio è "per quanto tempo ritarderemo gli aggiustamenti necessari, cercando di nasconderci la realtà" (Ad esempio: occorrerà certamente innalzare l'età pensionabile, anche se nessuno vuole sentirselo dire).

Il problema sanitario è più spinoso. Ma, a parità di età, le condizioni di salute sono oggi migliori che non in passato, in tutto il mondo e anche in Italia. Non ha quindi tanto senso dire, ad esempio: "oggi in Italia gli ultra sessantacinquenni sono il 20% della popolazione; e un secolo fa erano il 6%". E' vero, ma le persone di 65+ anni oggi sono per lo più sane, dinamiche, istruite, autonome - è tutta un'altra condizione, neppure lontanamente comparabile a quella di allora. Certo, questo miglioramento ha un costo. Ma come avviene per tutte le cose, si creerà un equilibrio. Se le cure diventeranno troppo costose, forse dovremo rinunciare a vivere fino a 100 anni (oggi si vive mediamente fino a 82), e dovremo accontentarci di vivere fino a 90. Fino a che non diventeremo più ricchi, o fino a che qualcuno non troverà medicine (cure, terapie, ecc.) più economiche.

Ovviamente, i problemi sono più forti se i cambiamenti demografici sono rapidi, o se il paese è povero - e sotto entrambi questi profili i paesi in via di sviluppo stanno molto peggio di noi, anche se la loro crescita economica è rapida e li aiuterà a superare la transizione. Che sarà comunque difficile, ma non più difficile delle mille altre sfide che l'umanità ha dovuto affrontare nella sua storia: malattie, carestie, ecc. La povertà che questi paesi si stanno lasciando alle spalle, per esempio, accompagnata dall'elevata mortalità, anche infantile, era una condizione senz'altro peggiore”.

Gli Stati Uniti sono in controtendenza rispetto agli altri Paesi sviluppati. Come si spiega la loro costante crescita demografica?

“Negli Stati Uniti, buona parte della fecondità è sostenuta dalla popolazione immigrata, che è più numerosa che non in Italia: circa il 14% contro il 7% da noi. E, lì come qui, gli immigrati (dai paesi poveri) sono più fecondi. Ma anche nella vecchia Europa, i paesi del Nord, e ancor più la Francia, fanno un numero di figli relativamente elevato, non lontano da 2 figli per donna (che è il valore che, nel lungo periodo, manterrebbe costante la popolazione) - gli Stati Uniti non sono quindi eccezionali sotto questo profilo.

La loro vera particolarità sta nella struttura per età, che è giovane, grazie intanto all'immigrazione, e poi grazie al fatto che non hanno mai avuto un vero crollo delle nascite negli anni passati (noi sì: la fecondità è scesa fino a 1,2 figli per donna e ora è risalita, ma solo fino a 1,4). Ma ricordiamo anche che gli Stati Uniti hanno meno vincoli ambientali: per esempio, da loro, la densità abitativa è di circa 30 ab/kmq; in Italia è di 200, in Giappone quasi di 340 ab/kmq. Anche contando le aree desertiche, si vede che crescere è più facile negli USA che non altrove.

Tra molti anni, anche gli USA si fermeranno, e invecchieranno. Noi e il Giappone siamo costretti a rallentare e a fermarci, - e quindi anche a invecchiare prima”.