Con i "fantasmi" del passato baathista e la speranza in un Paese finalmente pacificato, l'Iraq affronta domenica il voto per il rinnovo del Parlamento. Si tratta del secondo appuntamento elettorale (il primo fu nel 2005) dalla deposizione del presidente Saddam Hussein. La data del 7 marzo è arrivata non senza difficoltà politiche e spargimenti di sangue. Il rinnovo del Parlamento era stato fissato per gennaio, ma la necessità di un accordo sulla nuova legge elettorale ha fatto slittare la data. Andranno alle urne quasi 19 milioni di elettori in 18 distretti per eleggere 325 deputati con un sistema proporzionale. A contendersi la "poltrona" di parlamentare si sono presentati oltre 6.100 candidati, in rappresentanza di più di 160 formazioni politiche.
Dopo settimane di roventi polemiche, sul filo di lana, la Corte d'appello chiamata a decidere sull'esclusione di 517 candidati ritenuti "vicini" al disciolto e illegale partito Baath (quello al potere nell'era Saddam Hussein), ha fatto sapere che 28 su 177 che avevano presentato ricorso, sono stati riammessi nelle liste. Gli altri si sono ritirati o sono stati sostituiti. Una decisione che ha fatto infuriare i sunniti che hanno duramente criticato la "debaathificazione" dell'Iraq. In questo scenario da "regolamento di conti" tra sunniti e sciiti per il controllo del nuovo Iraq, la campagna elettorale ha trascinato il Paese in una "guerra all'ultimo voto". Manifesti elettorali a tutta faccia dei vari candidati, scritte che ricordano il martirio degli sciiti durante il regime di Saddam, la presenza costante della religione come guida al buon voto.
Da Bagdad a Bassora, da Mosul fino al Nord curdo, tutto l'Iraq è in preda al panico per chi guiderà il Paese quando, secondo le previsioni e le promesse della Casa Bianca, nel 2011 non ci saranno più soldati stranieri a garantire la sicurezza degli iracheni. Con l'avvicinarsi dell'appuntamento elettorale, oltre a comizi, volantini e manifesti, sono spuntati con maggiore ferocia gli attentati. Ancora più precisi, pianificati e organizzati.
Nel mirino delle organizzazioni terroristiche (molto spesso vicine alle stesse formazioni politiche) gli sciiti, i cristiani e quelli legati ai "nuovi vincitori". Una carneficina che ha fatto ripiombare l'Iraq nello spettro della paura e dell'incertezza per il futuro. A tutto questo (come se non bastasse) si è aggiunto puntuale la minaccia di Al Qaeda che, attraverso annunci di morte, ha fatto sapere che la sua mano colpirà anche durante il voto.
"Una esistenza sicura e pacifica per tutte le minoranze religiose dell'Iraq, non solo quella cristiana, senza permettere che interessi temporanei mettano a rischio la vita di nessuno". E' l'appello lanciato da Benedetto XVI alla vigilia del voto, dopo i ripetuti attacchi contro i cristiani a Mosul. Una lunga scia di sangue che ha portato il patriarca siro-cattolico d Antiochia, Ignatius Joseph III Younan, a parlare di "cristiani uccisi come pecore". Il monito e le preghiere della Santa Sede sono segnati dalla consapevolezza delle implicazioni politiche della situazione irachena, uno dei tanti aspetti dei fragili equilibri in Medioriente.
Nonostante le promesse dal premier al Maliki di dispiegare oltre 30 mila soldati in vista della scadenza elettorale, i cristiani sono sempre più nel mirino della violenza irachena. Da più parti è stato invocato l'aiuto di Ue, Onu e Usa per "difendere i diritti dei cristiani in Iraq".
Appello lanciato anche dal ministro degli Esteri Frattini che ha chiesto maggiore attenzione da parte del governo di Bagdad. Per monitorare il corretto svolgimento del voto e i possibili risvolti di violenza, saranno impegnati 120 osservatori delle Nazioni Unite, di cui 14 italiani, dislocati tra Bagdad, Bassora e la regione del Kurdistan.