di Sandro Calice
LA BOCCA DEL LUPO
di Pietro Marcello, Italia 2009 (Bim) Vincenzo Motta, Mary Monaco.
C’è un tempo sospeso che avvolge Genova, città di vinti e derelitti, splendido approdo per i sogni della gente dal mare. Qui arriva Enzo, siciliano con “la dolcezza di un bambino in un corpo da gigante”. Torna a casa, nel ghetto della città vecchia, dopo un’assenza di 14 anni, dove l’aspetta una cena fredda da sempre e l’amore della sua vita Mary, trans conosciuta in carcere vent’anni prima. Hanno un sogno semplice semplice, di quelli che fanno felici solo gli ultimi della Terra: una casetta in campagna sopra la città, loro due e basta. E ci raccontano il viaggio delle loro anime perdute, dalla disperazione a una parvenza di serenità, sorretti solo dal loro amore.
“La bocca del lupo”, miglior film all’ultimo Torino Film Festival, è un film che emoziona, senza ricorrere a furbizie, senza indulgere a giudizi, senza trarre conclusioni intellettuali, “semplicemente” osservando. Pietro Marcello, che già aveva dato buona prova di sé con il documentario “Il passaggio della linea”, sorretto dal romanzo verista di Remigio Zena, scende tra i vicoli di Genova guidato anche dai ricordi di suo padre. E per raccontare questa città, “un posto non ancora moderno dove il Novecento s’è incagliato come una nave senz’ancora”, mescola presente e passato, con tale delicatezza che anche i filmati d’epoca amatoriali scorrono omogenei e incatenati al racconto. Enzo e Mary sono due personaggi così ai margini della vita che lo spettatore ha bisogno di tempo e fatica per capire quanto siano disperatamente reali. E anche quando la consapevolezza arriva, non c’è tempo per fermarsi, il mare ha già portato altre storie.