Il modello Trieste, un esempio di efficienza e di praticabilità. Beppe dell’Acqua ci spiega in cosa consiste e ci dice: ”Venite a Trieste, a vedere cosa facciamo. Non esiste il ‘non si può fare’, l’’inguaribilità’. Qui c’è un evidenza straordinaria di quanto le persone possano fare”.
Che cos’è questa esperienza avanzata, che ha fatto di Trieste un modello per l’Oms?
Il modello Trieste è ciò che deriva da una rigorosa prosecuzione del lavoro di deistituzionalizzazione. Se nell’Ospedale psichiatrico pensavamo che le 24h, la totalizzazione delle persone, fosse devastante e distruttiva, dovevamo pensare a strutture e luoghi dove le persone potessero avere assistenza e ascolto 24h su 24, in altro modo. Da qui nasce il Centro di salute mentale (CSM), 24 ore su 24, aperto 7 giorni su 7, con la presenza di circa 40 operatori, con 8 posti letto, con la possibilità di consumare il pranzo nel centro, di fare gruppi e di essere avviati ad attività di varia natura, di muoversi dal centro che diventa un avamposto territoriale. Da noi ci sono cinque macchine utilizzate per andare a casa delle persone che hanno bisogno, una visita sull’urgenza, su programmazione, una verifica costante di come vanno le cose. Il CSM è il cuore del modello operativo triestino. A Trieste, dove vivono 240mila persone, ce ne sono 4, uno ogni 60mila abitanti, e in questi distretti esistono altrettanti servizi socio sanitari. Si cerca di costruire nel territorio proprio quel “territorio abitato”, ricco di possibilità” per le persone.
Accanto al CSM ci sono le Cooperative sociali, luoghi per il lavoro e la formazione. Ogni anno riusciamo a inserire 30 persone al lavoro, ma quasi 200 partecipano a percorsi lavorativi e a esperienze lavorative.
Accanto al CSM esiste una rete di “abitare assistito”. Non più di 7-8 persone in un appartamento. Non ci si può curare in luoghi che ospitano 20-30 persone. Abbiamo 60 posti sparsi nella città.
Un altro punto nodale del sistema è il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura(SPDC), dove si cura l’emergenza, psichiatrica, collocato nell’Ospedale. A Trieste abbiamo 6 posti letto(invece dei canonici 16), le porte sono aperte e non si lega. E’ un luogo di passaggio, non di ricovero protratto. Le persone vengono osservate e poi indirizzate ai CSM di competenza.
Tutto questo costituisce il Dipartimento di Salute Mentale(DSM), che coordina questo sistema di servizi. Ogni CSM ha una grande autonomia sul territorio, ma si coordina e sta dentro il sistema di servizi, non è autoreferenziale.
Al centro del nostro modello c’è poi una dimensione “etica”( a Trieste dal 1971, quando arrivò Basaglia, sono stati aboliti in modo radicale tutti gli strumenti di contenzione. Nei SPDC triestini non si legano le persone e le porte sono sempre aperte), e una dimensione “tecnico-etica”, che è la cultura psichiatrica della cura, del prendersi cura, incontrare lo sguardo dell’altro. Dopo la fiction su Raiuno con Gifuni, la cosa è molto più comprensibile. E’ lo sguardo che finalmente vede la persona, e nel momento in cui la vede è capace di essere visto, non come psichiatra, ma come un altro che sta in quella dimensione. E dunque è capace di ascoltare, di parlare e di essere ascoltato. Questo è un mestiere che mette continuamente a rischio di attraversare dei limiti, che sono quelli del corpo, dello spazio e del pensiero dell’altro. Il limite da non attraversare sono tutte quelle azioni( che siano amministrative, economiche, terapeutiche)che vanno a oggettivare, a invadere, a distruggere quella relazionalità, quella individuazione dell’altro.
I costi
Il servizio che noi offriamo costa meno della meta’ di quello che costava l-Ospedale Psichiatrico, con 1200 persone al suo interno. A bilancio conclusivo nel 1971 lo Psichiatrico costo’ 5 miliardi di lire, oggi piu’ di 30 milioni di euro. Tutto il nostro servizio , a conclusione bilancio 2009, e’ costato 18 milioni di euro. Quasi la totalita’ delle risorse e’ impegnata nel sistema comunitario territoriale. Per l’emergenza e per i 6 posti letto nell-Ospedale, spendiamo solo il 6, 7 per cento del totale