Le cattive pratiche nell’applicazione della riforma basagliana. Nuove forme di violenza in un Paese frammentato, che viaggia a velocità diverse. Intervista a Tommaso Lo Savio, psichiatra, artefice della chiusura del Santa Maria della Pietà, l’ospedale psichiatrico di Roma, e direttore per oltre 10 anni del Dipartimento di Salute Mentale Roma E. Oggi collabora con la Fondazione Basaglia per un progetto per l’educazione alla salute mentale nella scuola.
Quali sono le cattive pratiche nell’applicazione della Riforma?
Non prendersi cura della persona fino in fondo, dare risposte preformate, che non tengono conto della storia della persona e dei suoi bisogni, che hanno a che fare non solo con la cura della malattia, ma anche con i suoi diritti di cittadinanza. Quindi continuare a legare nei servizi di Diagnosi e cura, ridurre i Centri di salute mentale ad ambulatori, liste d’attesa infinite, non prendersi cura del contesto in cui quella persona vive, per cercare di modificarlo e renderlo più accogliente nei suoi confronti.
E’ quello che avviene in Italia oggi?
In Italia sono avvenute cose straordinarie. Non ci sono più i manicomi e nessuno li rimpiange. Le realtà però sono molto diversificate, nelle stesse città e nelle stesse Regioni. Ci sono esperienze che rispecchiano lo spirito della legge 180 (dare cure diverse) . In altre realtà, per mancanza di cultura, di risorse, di disponibilità degli operatori, questo ancora non avviene, creando situazioni di abbandono e di carico eccessivo per le famiglie.
Si può parlare di Riforma realizzata?
Credo di sì. Naturalmente è un percorso ancora lungo. Nessuno si poteva illudere che in breve tempo tutto si poteva realizzare. Penso che il superamento e la negazione del manicomio, da cui siamo partiti, sia un processo di ricerca interminabile, che richiede uno sforzo di volontà, di studio, di applicazione a tutti noi operatori in prima linea, ma anche della società in generale. Quando sono arrivato a Roma nell’80, tutti pensavano che la Riforma potesse essere realizzata solo in alcune città e in alcune esperienze avanzate. L’aver dimostrato che anche a Roma era possibile chiudere un manicomio che aveva raccolto fino a 3000 persone , che era possibile creare una rete di servizi, rapporti di alleanza con le famiglie e con le associazioni delle famiglie, rapporti anche conflittuali ma pur sempre di affiancamento con gli amministratori, ha dimostrato che anche in una Capitale difficile, dove era molto diffusa la pratica privata, era possibile rendere pratici i principi della Riforma basagliana.
Ma spesso le famiglie denunciano di essere lasciate sole.
La maggior parte delle Associazioni di familiari non la pensa così. E’ vero che con la Riforma le famiglie sono state chiamate in causa, perché non c’era più la deportazione del paziente in un altrove che era il manicomio. Lì dove i servizi funzionano e le risposte sono efficaci ed efficienti, il carico delle famiglie non è sicuramente aumentato. Le famiglie sono più responsabilizzate.