10 febbraio - Il Giorno del Ricordo


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Il silenzio la più ferita più grande

Mancini: 'Noi figli dell'esodo' esodo_foibe_296

Quali sono stati i momenti più duri dell'esodo? Lo chiediamo a Gabriella Mancini Fazio, autrice del romanzo autobiografico "Noi, figli dell'esodo", edito da Guida, Napoli.

"Sono figlia dell'esodo, ho vissuto di riflesso, ma sulla mia pelle, il dolore della mia famiglia,della mia gente. Dopo la promiscuità del campo profughi, l'esperienza del villaggio Dalmazia, circondata da 1500-2000 famiglie fiumane, istriane,dalmate. Non è stato facile", spiega la scrittrice, sottolineando: "L'esodo può perdonare quello che è successo durante la guerra, che causa tragedie e morte, ma non può perdonare il silenzio che poi è seguito".

"E' il silenzio istituzionale la ferita più profonda dell'esodo", racconta Gabriella Mancini. "Un silenzio che ha causato ignoranza, ci ritenevano tutti fascisti, collaborazionisti. Quando qualcuno passava con i bambini davanti al campo profughi diceva loro: non piangere,ti faccio mangiare dai profughi".

"Tocca a noi ora spiegare, perché quelli che hanno affrontato l'esodo, con grande orgoglio, erano impegnati a sopravvivere" prosegue Mancini, sottolineando il grande merito dei genitori di quella generazione: "Non averci trasmesso l'odio, non aver sparso odio".

Che cos'è "Le radici del futuro"? "Una riduzione scolastica del mio romanzo, curata dalla casa editrice Simone, di Napoli,che fornisce anche schede per la discussione, per far conoscere quella storia alle nuove generazioni.

A quali aspetti sono più interessati i giovani che incontra nelle scuole? "A tutto. Pongono domande storiche ma anche quelle più personali. Quello che più li colpisce è l'idea di dover lasciare la propria terra, la sofferenza del distacco. Recentemente mi è capitato, in un liceo, di vedere i ragazzi con le lacrime agli occhi".