La rivoluzione di Basaglia


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'C'era una volta la città dei matti'

Marco Turco porta sullo schermo la storia del giovane psichiatra ribelle che affrancò la sofferenza mentale dalla prigionia dei manicomi. Su RaiUno il 7 e 8 febbraio g

Marco Turco, quando le è venuta l’idea di girare un film su Basaglia?
E’ sempre stato un po’ nell’aria. Basaglia è stato un personaggio di riferimento per la mia generazione. Era un progetto che da tempo mi girava per la testa.

Perché la scelta di girare una fiction per la tv?
La televisione ha il merito di raccontare la storia a un pubblico molto più vasto. Al cinema lo avrebbe visto solo chi conosce la rivoluzione di Basaglia.

Come mettere in scena la malattia mentale?
E’ stato il problema più grosso, sia in termini di scrittura sia di messa in scena. Ci siamo affidati a incontri con esperti che hanno vissuto in prima persona l’esperienza straordinaria di Basaglia, (psichiatri, infermieri, operatori) e con pazienti che ci hanno raccontato le loro storie e i loro vissuti. Storie vere, con alle spalle spesso esperienze di segregazione e isolamento, racconti da cui emerge il difficile lavoro per restituire loro dignità e un’identità cancellata. Senza Beppe dell'Acqua, responsabile del Dipartimento di salute mentale di Trieste, che con Basaglia condivise la grande battaglia di liberazione, questo film non sarebbe stato possibile. Anche per la regia c’è stato un enorme lavoro di documentazione. E’ stata un’esperienza unica. Provare con tutti gli attori è stato interessante. Ogni volta significava mettere in gioco anche se stessi. Durante le riprese abbiamo lavorato con pazienti veri, persone che convivono con il disagio mentale, e questo ci ha costretto a un confronto continuo con la realtà. E’ stata un’esperienza straordinaria.

C’è una sequenza simbolica che riassume lo spirito del film?
La storica uscita di Marco Cavallo dal manicomio di Trieste, il grande destriero azzurro di legno e cartapesta costruito dai pazienti e simbolo della voglia di libertà dei matti. E’ un momento di grande tensione e di grande depressione. Il cavallo è troppo grande e non esce dal cancello. Nella realtà Basaglia sfonda il cancello con una panchina. Nella finzione filmica tutti i matti, Basaglia in testa, abbattono il cancello con la statua di Marco Cavallo, brandita come un’ariete, e riescono a uscire. Era il 25 marzo ’73, e quel gesto simbolico segnò la definitiva apertura del manicomio alla città.

Il messaggio che filtra dal film?
E’ un po’ un messaggio in controtendenza rispetto alla cultura oggi dominante. Basaglia ci dice che cambiare è possibile se si sta insieme, se si lavora insieme, se si libera la nostra mente. C. T.