Future Film Festival


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Le magie di Joe Letteri e Saul Bass

Dalla motion graphics alla tecnologia di “Avatar” j

di Sandro Calice

JOE LETTERI. Atteso come un divo, con una fila di persone che non si era mai vista al Future Film Festival, Joe Letteri, il supervisore agli effetti speciali di Cameron, è venuto a illustrare in anteprima mondiale il “making off” del film di Cameron. Rigorosamente vietate, ovviamente, foto e riprese video.

Ci ha mostrato un mondo di meraviglie tecnologiche, complessi algoritmi (come il concetto di spherical harmonics usato per ottenere una luce realistica) e lunghissimi tempi di lavoro anche per i più piccoli dettagli, in cui però la centralità dell’uomo è imprescindibile “Quando Cameron ci chiamò – racconta - ci diede un obiettivo: voleva eliminare il confine tra live action ed effetti speciali”. Il cuore del lavoro è stato il performance capture stage, uno studio in cui gli attori si muovevano e recitavano vestiti con tute speciali e con un casco dotato di telecamera che riprendeva tutte le espressioni del viso. Il regista, in tempo reale, riusciva a vedere una simulazione a bassa definizione dell’ambiente e degli avatar degli attori, potendoli quindi dirigere su una sorta di set virtuale.

Ogni singolo gesto od elemento dell’ambiente ha richiesto un’attenzione maniacale. Si è partiti sempre dalla concept art, un disegno di quello che si voleva realizzare, per passare al modellino e arrivare poi per gradi al risultato finale. Per una scena di tre secondi, ad esempio, in cui si vede l’oceano infrangersi sulle scogliere, ci sono volute 4 settimane di lavoro. Mentre per la sola scena in cui Jake Sully sceglie e doma il suo banshee, il destriero volante, sono serviti ben tre mesi.

Naturalmente Letteri ha glissato quando gli sono chiesti i dettagli della tecnologia usata,. Così come sull’ispirazione di animali e piante di di Pandora e sui Na’vi, i suoi abitanti. Noi appassionati di fumetti, ad esempio, pensiamo che gli autori qualche debito ce l’abbiano con le invenzioni del grande fumettista francese Jean Jiraud, in arte Moebius, così come è vero che i Na’vi somigliano molto a un personaggio degli X-men, Nightcrawler, che come gli abitanti di Pandora ha occhi gialli, pelle blu, orecchie a punta, coda e tre dita per mano. Poco importa. L’unica cosa certa è che la mitologia creata con questo nuovo mondo e la tecnica utilizzata in questo nuovo modo di fare cinema sono destinate a fare storia.

SAUL BASS. Altro momento importante della giornata è stato il focus sulla motion graphics, la grafica in movimento, dedicato a Saul Bass (1920-1996), precursore della tecnica e inventore dei moderni titoli di testa dei film, con una lezione dell’art director Kai Christman. All’inizio della storia del cinema, ha ricordato Christman, i titoli di testa non esistevano perché per un attore fare cinema non era considerato onorevole. Poi gli attori divennero star e le case di produzione capirono che mettere un nome all’inizio aumentava le possibilità di vendita. Bass cominciò la sua carriera come grafico, allievo del designer ungherese Gyorgy Kepes. Il primo regista a notarlo e a decidere di rivolgersi a lui fu Otto Preminger per il poster del film “Carmen Jones” (1954). Il disegno fu così bello che Preminger decise di far realizzare a Bass anche i titoli di testa. Prima, in realtà, aveva già fatto i titoli de “I vitelloni” (‘53) di Fellini. Da qui iniziò una carriera luminosa che lo portò a collaborare con Billy Wilder, Robert Aldrich, Alfred Hitchcock, tanley Kubrick, Martin Scorsese e molti altri.

Due aneddoti. Quando Bass creò per Preminger i titoli di testa di “Anatomia di un omicidio” (‘59), la sagoma di un cadavere che si separa in pezzi su cui sono scritti i titoli, con la colonna sonora originale di Duke Ellington, si dice che i proiezionisti con la pellicola ricevessero una nota in cui era scritto:”Spegnete le luci prima dei titoli di testa”, per sottolineare l’importanza di quel lavoro ed evitare che la gente, come d’abitudine, si sedesse solo alla prima vera scena del film. La seconda storia narra che Bass fu chiamato da Hitchcock a fare i titoli di testa di “Psycho” (’60). Era la terza volta dopo “Vertigo” (’58), in Italia “La donna che visse due volte”, e “North by Northwest (’59), “Intrigo internazionale”. Hitchcock si fidava così tanto di Bass (che infatti con lui per la prima volta appare nei titoli anche come consulente degli effetti visivi) che gli chiese un’opinione sulla celebre scena della doccia. Bass fece uno storyboard che prevedeva uno svolgimento e un montaggio frenetici, opposti allo stile del regista. E per convincerlo girò anche la scena. Hitchcock si convinse, ma apportò alla scena dei cambiamenti. Negli anni successivi Bass sostenne invece che la scena finale era in realtà quella girata da lui, Hitchcock si risentì e la loro collaborazione finì per sempre.