di Sandro Calice
L'UOMO CHE VERRA’
di Giorgio Diritti, Italia 2009 (Mikado Film)
Maya Sansa, Alba Rohrwacher, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Stefano Bicocche, Eleonora Mazzoni, Orfeo Orlando, Diego Pagotto, Tom Sommerlatte, Bernardo Bolognesi, Stefano Croci, Zoello Gilli, Germano Maccioni, Timo Jacobs, Thaddaeus Meilinger, Francesco Modugno, Maria Grazia Naldi, Laura Pizzirani, Frank Schmalz, Raffaele Zabban.
C’è bisogno come il pane di memoria in questo Paese, di ricordare il nostro passato anche recente, per capire da dove veniamo, cosa ci è successo e mettere nella giusta prospettiva le piccolezze del presente. Giorgio Diritti ci regala un film emozionante, non retorico, da vedere. Che ha vinto il Gran Premio della Giuria e il Premio del pubblico come miglior film al Festival internazionale del Film di Roma 2009.
Inverno del 1943, comunità di Monte Sole, a sud di Bologna. Martina (Zuccheri Montanari) ha 8 anni e non parla più da quando gli è morto il fratellino di pochi mesi tra le braccia. La madre Lena (Sansa) resta di nuovo incinta proprio mentre la guerra, fino ad allora solo un’eco lontana, comincia a entrare ferocemente nelle vite di questa comunità contadina. Martina, in silenzio, la vede avvicinarsi nei volti dei nazisti, che si fanno sempre più invadenti e pericolosi, e in quelli dei partigiani del comandante Lupo, che vengono a reclutare soldati. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1944 il fratellino di Martina viene al mondo, ma è un mondo che quella notte stessa crollerà sotto la furia bestiale della guerra.
Il film racconta la strage di Marzabotto, l’eccidio di 770 civili perpetrato dalle truppe naziste tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944. La famiglia del racconto è inventata, ma la ricostruzione è basata sulle testimonianze reali dei sopravvissuti. “Dopo la fine del conflitto – dice il regista - la Guerra Fredda ha nascosto la verità in tante situazioni. Quel che poi e' uscito ovviamente non restituisce la vita alle persone, ma forse questo film può riguadagnare la memoria comune del Paese”. Memoria che passa anche attraverso la scelta di far recitare tutto il film, che quindi è sottotitolato, in dialetto bolognese dell’epoca. ''Ho cercato di evitare gli stereotipi – spiega - sia nel racconto della strage, che nella descrizione dei nazisti. Ogni passo del film ha avuto dietro una lunga ricerca ed è calato nella realtà di quanto accaduto. Volevo raccontare la drammaticità di uomini che uccidono altri uomini, con naturalezza”. Nel film Diritti non dà giudizi facili, ideologici, ma sottolinea: “Quella strage è stata uno sterminio di civili, qualcuno ha cercato di dire che i partigiani avrebbero dovuto fare di più, ma nessuno poteva immaginare che le SS avrebbero fatto una cosa del genere. Il revisionismo mi dà fastidio”. Lo spettatore cresce insieme con Martina, guardando il film. Le immagini, profondi primi piani di volti intensi e panorami di una natura che pian piano si sporca di morte, sostituiscono le parole che la bambina ha deciso di non dire. Ma non servono, sarebbero ridondanti. Gli occhi di Martina raccontano di una innocenza che si spegne di fronte all’insensatezza della violenza, da qualunque parte provenga. Di una società contadina che vive di natura e di fede, con fatica e onestà, ma che paga sempre il prezzo più alto quando la Storia tira le somme. E quello sguardo è talmente puro che non c’è retorica, non si chiedono lacrime facili, nemmeno di fronte alla barbarie. C’è solo l’uomo, anche quello appena nato, quello che verrà, di fronte al suo presente e alla speranza di un futuro.