di Sandro Calice ARTHUR E LA VENDETTA DI MALTAZARD
di Luc Besson, Francia 2009 (Moviemax)
Freddie Highmore, Mia Farrow, Snoop Dogg, Stacy Ferguson, Lou Reed, Will I Am.
Dopo “Arthur e il popolo dei Minimei” siamo al secondo capitolo della saga ideata da Céline Garcia e scritta dallo stesso Luc Besson. Un capitolo che imitando (forse infelicemente) precedenti illustri come “Il Signore degli anelli” o “I pirati dei Caraibi” si interrompe bruscamente in attesa del terzo e conclusivo “Arthur e la guerra dei due mondi”.
In attesa che termini il decimo ciclo lunare e di poter tornare dall’amata Selenia nella terra dei Minimei, Arthur impara dalla tribù dei Bogo Matassalai, che vive nel bosco della casa di campagna di Villa Granny, ad entrare in comunione con la natura. Ma alla vigilia del giorno fatidico il padre decide di tornare in città. Arthur è disperato e proprio quando la famiglia sta per partire, un ragno consegna nelle sue mani un chicco di riso con una richiesta d’aiuto. Selenia e il popolo dei Minimei sono sicuramente in pericolo. Arthur, aiutato dai Bogo Matassalai riesce a tornare nel microscopico mondo. Ritrova i vecchi amici e ne conosce di nuovi. Ma qualcosa non quadra e l’ombra del perfido Maltazard si allunga minacciosa.
Besson con mestiere, una dose di stupore infantile e anche un pizzico di “furbizia” torna a raccontarci quell’universo fantastico pieno di messaggi ecologisti e positivi (l’accettazione della diversità, la forza dell’amore), che dice di aver immaginato per (e grazie a) i suoi 5 figli. Coniuga bene live-action e animazione, e il film tecnicamente è ben fatto. Il confronto con i colossi americani dell’animazione non gli interessa: quasi s’infastidisce quando gli parlano di “cultura” a stelle e strisce: ”Quando penso alla cultura penso all’Europa”. Ma poi ammette che Lasseter, il padre della Pixar, è un vero artista. In realtà, confronti a parte, “Arthur e la vendetta di Maltazard” è un film gradevole, con momenti divertenti e poche scene memorabili (quella di Paradise Alley innanzitutto), che però non affascina e lascia alla fine una sensazione di incompiuto, come probabilmente capita a tutti i secondi capitoli delle trilogie. E non convince fino in fondo la spiegazione del regista:“Non potevo fare un film di 3 ore, ma soprattutto bisogna insegnare ai bambini ad avere pazienza”.