di Valerio Ruggiero
"Quello che è uscito da Copenaghen è, volendo essere onesti, quasi nulla: non ha niente a che vedere con i documenti formali che escono dalle conferenze delle parti. E' un accordo, peraltro non firmato da tutti, che mette pochissimo nero su bianco. Se escludiamo il contenimento dell'aumento delle temperature a due gradi centigradi e l'indicazione di finanziamenti per i Paesi poveri, sui target di riduzione dei gas serra non c'è nulla. Quindi è tutto da fare: è chiaro che sarà un lavoro molto, molto pesante".
La conferenza ha prodotto solo un accordo di facciata?
"E' normale pensare che la montagna abbia partorito il topolino. Ma bisogna anche dire che per la prima volta abbiamo avuto la presenza di oltre cento capi di Stato e di governo, e in qualche maniera si è aperta una nuova era: per otto anni la precedente amministrazione americana aveva bloccato qualsiasi iniziativa che andasse nella direzione di un impegno per la riduzione dei gas serra, e aveva creato un'atmosfera internazionale che non ha favorito i negoziati".
Quali scenari si aprono adesso per la lotta al cambiamento climatico?
"Abbiamo avviato per la prima volta negoziati coinvolgenti per tutti i Paesi industrializzati e quelli di nuova industrializzazione. Ci sono tantissime resistenze, e c'è grande difficoltà ad avere risultati in pochi mesi. Il grande problema che abbiamo oggi di fronte è coinvolgere in maniera fattiva non solo i Paesi di nuova industrializzazione ma anche i Paesi poveri, che subiranno maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici e che si trovano in condizioni socioeconomiche e ambientali disastrate. Più si farà qualcosa in casa propria, più si sarà autorevoli nel cercare di ottenere risultati da parte degli altri. Ovviamente mi rivolgo in particolare agli Stati Uniti".