Accetto il premio Nobel per la Pace "con profonda gratitudine e grande umiltà". Esordisce così il presidente americano, Barack Obama, aprendo il suo discorso davanti al Comitato norvegese durante la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace, a Oslo.
"Non sono venuto qui a portarvi una soluzione per la guerra" ha detto, riconoscendo le critiche che ha ricevuto il comitato per aver premiato "il comandante in capo di un nazione impegnata in due guerre". "Quello che invece so è che per affrontare queste sfide è necessaria la stessa visione, lo stesso lavoro duro e la stessa insistenza di quegli uomini e quelle donne che hanno agito con coraggio decenni fa”.
Obama ha quindi citato la Seconda Guerra mondiale - "difficile immaginare una guerra più giusta" in cui però "il numero totale dei civili che sono morti ha superato il numero delle vittime tra i soldati" - e gli sforzi compiuti nel mondo per impedire che un terzo, distruttivo (per le armi nucleari) conflitto mondiale scoppiasse. Ma le guerre sono continuate, sono divenute intestine e a carattere etnico".
"Il male esiste, la promozione dei diritti umani non può essere solo un'esortazione. La dura verità è che non sradicheremo i conflitti violenti nel corso della nostra vita. Ci saranno momenti in cui le nazioni, da sole o di concerto, troveranno l'uso della forza non solo necessario, ma moralmente giustificato. E a noi è richiesto di ripensare le nozioni di guerra giusta e gli imperativi di una pace giusta".
"L'America non ha mai combattuto una guerra contro una democrazia e i nostri amici più vicini sono i governi che proteggono i diritti dei loro cittadini. Nel rispetto delle culture e tradizioni dei diversi paesi, l'America sarà sempre voce per quelle aspirazioni universali", ha continuato citando "la silenziosa dignità di Aung San Suu Kyi, il coraggio dei cittadini dello Zimbabwe che sono andati a votare" e "le centinaia di migliaia di iraniani che hanno marciato in silenzio lungo le strade dell'Iran". "E' indicativo", ha sottolineato Obama, "che i governanti di questi governi temano le aspirazioni dei loro popoli più della potenza di qualsiasi altro Paese". Per il presidente americano è "responsabilità di tutte le nazioni e dei popoli liberi di rendere chiaro a questi movimenti che la speranza e la storia sono dalla loro parte".
Ha citato quindi un altro premio Nobel per la pace, americano e nero, Martin Luther King: "Sono la testimonianza vivente della forza morale della non violenza. Non c'è nulla di ingenuo o passivo nel credo e nelle vite di King e Gandhi". Eppure, precisa il presidente-comandante, "non posso essere guidato solo dai loro esempi. Vedo il mondo per quello che è e non posso rimanere fermo di fronte alle minacce verso il popolo americano. Un movimento non violento non avrebbe fermato Hitler. I negoziati non possono convincere i leader di Al Qaeda a deporre le armi. Dire che la forza a volte è necessaria non è un incitamento al cinismo - è il riconoscimento della storia. Dell'imperfezione dell'uomo e dei limiti della ragione".