DORIAN GRAY

di Sandro Calice

DORIAN GRAY
di Oliver Parker, Gran Bretagna 2009 (Eagle Pictures)
Ben Barnes, Colin Firth, Rebecca Hall, Rachel Hurd-Wood, Emilia Fox, Fiona Shaw, Ben Chaplin, Caroline Goodall, Douglas Henshall, Maryam D'Abo, Jo Woodcock.


Oliver Parker torna a cimentarsi con un testo di Oscar Wilde, dopo gli adattamenti cinematografici di altre due opere dello scrittore: “L’importanza di chiamarsi Ernesto” e “Un marito ideale”. E, a parte piccole licenze, prova a restare fedele all’opera letteraria. Non è detto giovi al film.

La trama è nota. Dorian Gray (Barnes), giovane di straordinaria bellezza e disarmante ingenuità, arriva nella Londra Vittoriana. I primi due incontri che fa saranno quelli che gli cambieranno la vita. L’artista Basil Hallward (Chaplin) subisce il fascino del ragazzo e trascinato dall’emozione, che va oltre l’arte, dipinge un quadro di incredibile somiglianza. Il caustico e carismatico Henry Wotton (un ottimo Firth) introduce Dorian ai piaceri proibiti della città e a colpi di insegnamenti e aforismi ne riplasma l’animo. Dorian si cinvincerà che “bellezza e giovinezza sono le uniche cose che contano” e davanti al suo quadro si lascia andare a un giuramento fatale: sarebbe disposto a tutto pur di rimanere sempre così, anche a vendere l’anima. Da quel momento il quadro comincia a invecchiare e a subire le conseguenze di una vita scellerata al posto di Dorian, che è costretto a nascondere il dipinto in soffitta. Quando Basil insiste per vederlo, Dorian sarà costretto a un gesto estremo. Fuggirà per tornare 25 anni dopo, giovane e bello come non fosse passato nemmeno un giorno. E’ un uomo diverso, ma per il resto del mondo è ormai definitivamente dannato.

Parker ricostruisce una Londra gotica, con atmosfere, colori e fotografia che ammiccano all’horror, senza per altro turbarci troppo. Sorretto da una grande, immortale, storia, salva vagamente l’idea esaltante della vita plasmata come un’opera d’arte e della disillusione sulle fondamenta della felicità. E complice anche la diafana interpretazione del protagonista, il film finisce per non emozionare.