Festival del Cinema di Roma


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Vince 'Brotherhood', l'amore gay tra due neonazisti

Migliori attori Sergio Castellitto ed Helen Mirren. Doppio premio a 'L'uomo che verrà' di Giorgio Diritti

dagli inviati Sandro Calice e Juana San Emeterio

Il Marc'Aurelio d'Oro va al controverso “Brotherhood” di Nicolo Donato, regista italo-danese ed allievo di Lars Von Trier, per la prima volta dietro la macchina da presa, con un film sull'amore gay in un gruppo neonazista di Copenaghen.

La giuria presieduta dal regista Milos Forman lo ha preferito a “L'uomo che verrà” di Giorgio Diritti. Per il commovente film sulla strage di Marzabotto due riconoscimenti importanti: Gran premio della Giuria e Marc'Aurelio d'oro del pubblico.

Sergio Castellitto vince il Marc'Aurelio d'Argento per la recitazione per la sua intensa interpretazione di Mero in “Alza la testa” di Alessandro Angelini. Helen Mirren, protagonista di “The last station” Marc'Aurelio d'argento come miglior attrice. Giuseppe Tornatore consegna a Meryl Streep il Marc'Aurelio d'Oro alla carriera.

Per Alice nella città, premiati "Last ride" di Glendyn Ivin e "Oorlogswinter Winter in Wartime" di Martin Koolhoven. Per i documentari L'Altro-Cinema/Extra ha vinto "Sons of Cuba" di A. Lang.

Il bilancio del Festival. Seicentomila visitatori, oltre 102mila biglietti emessi per un incasso di 380mila euro, 188 scuole di Roma e provincia coinvolte, 85 film di 43 nazionalità diverse presentati su 25 schermi, 594 artisti presenti, tra italiani estranieri, 2.656 giornalisti accreditati. Questi alcuni dei numeri più significativi del Festival Internazionale del Film di Roma. Nel fare il bilancio conclusivo, il presidente Gianluigi Rondi, il direttore artistico Piera Detassis e il direttore generale Francesca Via, oltre al responsabile del business street, Roberto Cicutto, hanno sottolineato che l'edizione 2009 della manifestazione è stata caratterizzata, tra l'altro, da una massiccia presenza di pubblico, soprattutto giovanile. Gli studenti coinvolti quest'anno, infatti, sono stati circa 10.400, poco meno di 3mila in più del 2008.

“La mia sensazione è che il pubblico di Roma sia diventato molto giovanile anche grazie al lavoro di “Alice nella città” - ha detto Piera Detassis - Alcuni artisti, tra cui Beppe Fiorello e Asia Argento, ci hanno chiesto di incontrare la giuria dei ragazzi di quella sezione”. Durante l'incontro il direttore artistico ha anche commentato l'accusa rivolta al suo festival di non avere una precisa identità: “Potrei rispondere che l'identità è proprio quella di essere fuori dagli schemi tradizionali. Per me lo spirito di questa manifestazione è quello della festa. Il presidente Rondi ha voluto cambiare il nome in Festival, ma io credo che sia più giusto parlare proprio di festa perché qui interagiscono categorie diverse come il cinema che racconta il mondo dei ragazzi, quella di 'Extra', la selezione ufficiale e il mercato dei film”. Quello di Roma, ha concluso la Detassis “è un festival diverso che non va normalizzato perché deve mantenere la sua diversità”.

Francesca Via ha annunciato che dal 2012 la kermesse si svolgerà di nuovo nella prima metà di ottobre, dopo una parentesi di due anni che la vedrà slittare alla fine di questo mese (nel 2010 si svolgerà dal 29 ottobre al 6 novembre). Il budget della Fondazione Cinema per Roma, è stato di 12,5 milioni di euro, 1,3 milioni sono stati spesi per la sezione del mercato del film, mentre 8,2 milioni e' stato il costo della manifestazione stessa. “I restanti 3 milioni rappresentano il budget per l'attività della Fondazione durante tutto l'anno - ha detto Via - in cui organizziamo eventi cinematografici e incontri con i ragazzi. Abbiamo già in programma un incontro all'inizio di novembre con Michael Mann e il 6 gennaio uno di Kevin Spacey con i ragazzi delle scuole".

 

I FILM VINCITORI



BROTHERHOOD

di Nicolo Donato, Danimarca 2009 (TrustNordisk)
David Dencik, Morten Holst, Nicolas Holst, Thure Limdhardt.

“Brotherhood” è una difficile storia d’amore ambientata nel mondo neo-nazista in Danimarca. Opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato, allievo di Lars Von Trier.

Il protagonista, il biondo Lars, destinato alla carriera militare, lascia l'esercito ed entra a far parte di un gruppo neonazi che organizza raid punitivi contro arabi e omosessuali. L'apprendistato alla "fratellanza" è duro: deve partecipare alle riunioni, studiare l’ideologia e far parte delle spedizioni notturne contro i centri d’accoglienza per stranieri. Durante questo apprendistato Lars viene affiancato dal mentore Jimmy incaricato di testarne l'affidabilità e la preparazione sui testi fondamentali stile Mein Kampf. Lars lascia la famiglia e si trasferisce in un cottage in riva al mare del nord, che deve riparare insieme a Jimmy. Questa casa è sede del movimento guidato da un presidente anziano e da un vice di forte carisma. Durante la convivenza, imprevedibilmente, tra i due scoppia la passione che, comunque, non sembra intaccare le loro convinzioni. L'amore viene vissuto in segreto. Lars vorrebbe scappare ma viene convinto a restare da Jimmy. Alla fine le regole razziste e violente del gruppo metteranno gli amanti di fronte all'inevitabile contraddizione: tradire i "fratelli" di ideologia o tradire l'altro e i propri sentimenti. Qualunque sia la scelta, porterà alla violenza.

“Volevo fare un film su una storia d'amore e l'ho inserito nel contesto neonazista - ha detto il regista - per mostrare come l'amore è più forte di tutto e che non si può dire di no al sentimento perchè prima o poi emergerà, esige rispetto. In quel contesto neonazista in cui l'amore omosessuale non è accettato, in realtà nasce lo stesso'' e spiega che è ispirato da un documentario sull’omosessualità tra i naziskin. “Un loro leader era morto di Aids e si è scoperto che di giorno faceva il neonazista e di sera cercava uomini ad Amburgo”. “Broderskad” è un film duro, livido e oscuro come le atmosfere nordiche e il look dei protagonisti. Si illumina solo quando racconta il rapporto amoroso che resta il tema centrale della pellicola, forse un pregio ma anche un limite per chi si aspetta una visione critica. J.S.



L’UOMO CHE VERRA’

di Giorgio Diritti, Italia 2009 (Mikado Film)
Maya Sansa, Alba Rohrwacher, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Stefano Bicocche, Eleonora Mazzoni.

C’è bisogno come il pane di memoria in questo Paese, di ricordare il nostro passato anche recente, per capire da dove veniamo, cosa ci è successo e mettere nella giusta prospettiva le piccolezze del presente. Giorgio Diritti ci regala un film emozionante, non retorico, da vedere. Inverno del 1943, comunità di Monte Sole, a sud di Bologna. Martina (Zuccheri Montanari) ha 8 anni e non parla più da quando gli è morto il fratellino di pochi mesi tra le braccia. La madre Lena (Sansa) resta di nuovo incinta proprio mentre la guerra, fino ad allora solo un’eco lontana, comincia a entrare ferocemente nelle vite di questa comunità contadina. Martina, in silenzio, la vede avvicinarsi nei volti dei nazisti, che si fanno sempre più invadenti e pericolosi, e in quelli dei partigiani del comandante Lupo, che vengono a reclutare soldati. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1944 il fratellino di Martina viene al mondo, ma è un mondo che quella notte stessa crollerà sotto la furia bestiale della guerra.

Il film racconta la strage di Marzabotto, l’eccidio di 770 civili perpetrato dalle truppe naziste tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944. La famiglia del racconto è inventata, ma la ricostruzione è basata sulle testimonianze reali dei sopravvissuti. “Dopo la fine del conflitto – dice il regista - la Guerra Fredda ha nascosto la verità in tante situazioni. Quel che poi e' uscito ovviamente non restituisce la vita alle persone, ma forse questo film può riguadagnare la memoria comune del Paese”. Memoria che passa anche attraverso la scelta di far recitare tutto il film, che quindi è sottotitolato, in dialetto bolognese dell’epoca. ''Ho cercato di evitare gli stereotipi – spiega - sia nel racconto della strage, che nella descrizione dei nazisti. Ogni passo del film ha avuto dietro una lunga ricerca ed è calato nella realtà di quanto accaduto. Volevo raccontare la drammaticità di uomini che uccidono altri uomini, con naturalezza”. Nel film Diritti non dà giudizi facili, ideologici, ma sottolinea: “Quella strage è stata uno sterminio di civili, qualcuno ha cercato di dire che i partigiani avrebbero dovuto fare di più, ma nessuno poteva immaginare che le SS avrebbero fatto una cosa del genere. Il revisionismo mi dà fastidio”. Lo spettatore cresce insieme con Martina, guardando il film. Le immagini, profondi primi piani di volti intensi e panorami di una natura che pian piano si sporca di morte, sostituiscono le parole che la bambina ha deciso di non dire. Ma non servono, sarebbero ridondanti. Gli occhi di Martina raccontano di una innocenza che si spegne di fronte all’insensatezza della violenza, da qualunque parte provenga. Di una società contadina che vive di natura e di fede, con fatica e onestà, ma che paga sempre il prezzo più alto quando la Storia tira le somme. E quello sguardo è talmente puro che non c’è retorica, non si chiedono lacrime facili, nemmeno di fronte alla barbarie. C’è l’uomo, anche quello appena nato, quello che verrà, di fronte al suo presente e alla speranza di un futuro. Sa.Sa.

 

ALZA LA TESTA

di Alessandro Angelini, Italia 2009 (01 Distribution)
Sergio Castilletto, Gabriele Campanelli, Giorgio Col angeli, Anita Kravos, Duccio Camerini, Augusto Fornari.

“Alza la testa” è soprattutto una splendida prova d’attore, un Castellitto in stato di grazia senza il quale il film sarebbe un’altra cosa. Mero è un operaio specializzato in un cantiere nautico e un ex pugile dilettante. Suo figlio Lorenzo (Campanelli), nato da una relazione con una ragazza albanese che li ha abbandonati, è la sua unica ragione di vita. Mero gli ha costruito una palestra in un magazzino e gli insegna a boxare ogni giorno, a tenere la testa alta e a difendersi dai colpi bassi della vita, convinto che il ragazzo abbia il talento per diventare un campione. Ovvio che vede in lui l’occasione del riscatto di una vita malandata. Ma i piani di Mero sono destinati a cambiare. Prima la madre di Lorenzo torna e chiede che il figlio, appena compiuti 18 anni, la segua in Albania. Poi un allenatore più bravo di Mero lo convince ad affidargli il figlio, se vuole avere qualche speranza di carriera. E infine arriva Ana, una ragazza rumena con cui Lorenzo fa l’amore per la prima volta. Mero rivede il suo passato e teme che l’amore possa distrarre Lorenzo dai suoi obiettivi. Si mette di mezzo e causa la tragedia. La peggiore delle tragedie, che metterà Mero di fronte al baratro o alla rinascita.

Angelici (“L’aria salata”) dice che ama “i personaggi con la ‘ruggine addosso’, quelli in credito con la propria vita, perché convinti di aver incassato meno del dovuto e perciò sempre sul punto di esplodere”. Mero in effetti è così. E’ un persona semplice, senza sovrastrutture culturali, fin troppo. E il volto di Castellitto rende meravigliosamente l’idea di questa stupita “ottusità”, soprattutto di fronte alla sconfitta, al dolore, al diverso. Quello che però per il regista è un punto d’onore, una narrazione che attraversa i registri della commedia, del racconto di formazione e del dramma, rischia di produrre un risultato sfocato, nel quale – ci ripetiamo – senza la potenza interpretativa del protagonista, il film sarebbe molto più fragile. Sa.Sa.



THE LAST STATION

di Michael Hoffman. Germania, Russia (2009)
Helen Mirren, Christopher Plummer, James McAvoy, Paul Giamatti, Anne-Marie Duff

Dopo quasi cinquant'anni di matrimonio, la Contessa Sofa, devota moglie di Leo Tolstoj, scopre improvvisamente che tutto il suo mondo va gambe all'aria. In nome della sua nuova religione utopica e delle sue idee anarco-cristiane, il grande romanziere russo ha rinunciato al titolo nobiliare e alle sue proprietà per diventare povero, vegetariano e celibee potrebbe inoltre essere stato convinto da Chertkov, il suo discepolo, a lasciare i diritti dei suoi iconici racconti al popolo russo anziché alla famiglia. Con ogni stratagemma, la donna lotta ferocemente contro la comunità libertaria che si è installata in casa sua per quel che ritiene le appartenga. Allontanata da Tolstoj riuscirà a rivederlo solo in punto di morte, nell'ultima stazione.