di Sandro Calice
LEBANON
di Samuel Maoz. Israele, Francia, Germania 2009 (Bim Distribuzione)
Yoav Donat, Itay Tiran, Oshri Cohen, Michael Moshonov, Zohar Strauss, Dudu Tasa, Asharaf Barhum, Reimond Amsalem
“Lebanon” è un pugno allo stomaco. Maoz lo ha scritto sulla base di ricordi personali che ha rimosso per vent’anni, prima di cominciare a fare pace con se stesso. Siamo nel giugno del 1982, prima guerra del Libano. Un carro armato e un plotone di paracadutisti vengono inviati a perlustrare una cittadina ostile già bombardata dall’aviazione israeliana. A bordo del carro armato, Rinoceronte in codice, ci sono Shmulik, l’artigliere, Assi, il comandante, Herzl, l’addetto al caricamento, e Ygal, l’autista. Sono poco più che ventenni, non bramano di sacrificarsi in una guerra che non capiscono, hanno solo paura di morire. La cittadina in cui arrivano si rivela una trappola mortale, nella quale restano abbandonati dal comando centrale, accerchiati dalle truppe siriane e affidati a pericolosi falangisti, unica speranza di uscirne vivi.
L’intero film, Leone d'Oro all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, si svolge nello spazio asfittico e interminabile del carro armato e di un solo giorno. La guerra, feroce, impietosa, irrazionale, la vediamo tutta attraverso il mirino di Shmulik. Quattro ragazzi (quattro prove d’attore) con il potere di togliere la vita ma paradossalmente più vulnerabili degli altri, esposti come sono all’artiglieria nemica. Sanno cosa succede attorno (come lo spettatore) solo dal mirino del cannone e dalla radio con cui Jamil, il comandante dei parà, gli dà ordini. Il resto è tanfo, olio, vapore, urina e un rumore insopportabile. Le guerre sono quasi sempre ragazzi che non le vogliono fare, uomini che muoiono anche quando sopravvivono. Da vedere.