Festival del Cinema di Roma


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Due isole, due mondi

'Viola di mare' e 'Dawson, Isla 10' in concorso. Ma anche il 'dipinto' di James Ivory

dagli inviati Sandro Calice e Juana San Emeterio

Il tappeto rosso è tutto per Richard Gere nella seconda giornata del Festival del Cinema di Roma. Il divo, protagonista del film di Lasse Hallstrom “Hachiko: a dog’s story”, sabato incontrerà il pubblico nelle lezioni di cinema previste nell’ambito della sezione “L’Altro Cinema – Extra”, che nella serata di venerdì vede invece protagonisti due registi italiani: Giuseppe Tornatore e Gabriele Muccino. In conferenza stampa Gere ha commentato anche il premio Nobel a Obama:”E’ un incredibile incoraggiamento, un modo per ricordargli perché è stato eletto presidente degli Stati Uniti, i valori e i principii per cui è stato scelto dall’America”.

Venendo ai film, il concorso di venerdì prevede due pellicole lontane anni luce per le storie, ma entrambe ambientate in isole simboliche: “Viola di mare” di Donatella Maiorca e “Dawson, Isla 10” di Miguel Littin. Fuori concorso il nuovo film di James Ivory “The city of your final destination”.

VIOLA DI MARE

di Donatella Maiorca, Italia 2008 (Medusa)
Valeria Solarino, Isabella Ragonese, Ennio Fantastichini, Giselda Volodi, Marco Foschi, Alessio Vassallo, Aurora Quattrocchi, Lucrezia Lante della Rovere, Maria Grazia Cucinotta.

Il sopruso, la violenza, contro la donna, contro il diverso. E la ribellione, in nome dell’amore e della libertà. Un’isola della Sicilia alla fine dell’Ottocento. Angela (Solarino) e Sara (Ragonese) sono due bambine amiche per la pelle, che però il destino separa. Da quel momento Angela aspetterà l’amica per anni, seduta su uno scoglio in riva al mare. E intanto si fa donna, con un padre violento (Fantastichini) che la disprezza e la sevizia perché avrebbe voluto un figlio maschio. Quando Sara finalmente torna, Angela rinasce. E l’amicizia di due bambine esplode in amore vero, potente, carnale. Troppo per il padre-padrone, che chiude la figlia in una botola finchè non “guarirà”. Ma prima che muoia, la madre ha un impeto di ribellione e un idea geniale: diranno a tutto il paese che quando Angela è nata si sono sbagliati e che in realtà è un uomo, Angelo. La menzogna, il travestimento, la nuova vita potrebbero salvare la vita di tutti.

Liberamente ispirato al romanzo “Minchia di re” di Giacomo Pilati, “Viola di mare” racconta una storia che pare sia realmente accaduta, vestitasi negli anni di leggenda e diventata quindi storia universale. E’ un film totalmente femminile: dalla regista alla colonna sonora di Gianna Nannini alle protagoniste, oltre a un campionario di stereotipi propri di certa società contadina ma non troppo distanti nemmeno dalla cronaca di oggi. Il tema era una sfida affascinante, la storia è splendida, le attrici brave e credibili, la fotografia discreta, ma il risultato finale ha purtroppo un sapore “televisivo”, con un montaggio che appiattisce le emozioni laddove sarebbero pronte a dispiegarsi. Sa.Sa.

DAWSON, ISLA 10

di Miguel Littin. Cile, Brasile, Venezuela 2009 (MC Films)
Benjamin Vicuna, Cristiàn De La Fuente, Pablo Krog, Jose Bertrand, Sergio Hernandez, Luis Dubò, Matias Vega, Horacio Videla, Alejandro Goic, Caco Monteiro, Andrei Skoknic, Elvis Fuentes, Pedro Villagra, Jose Martìn.

Ci sono luoghi che perdono la loro identità geografica per diventare una coordinata dell’anima: l’isola di Dawson, nello Stretto di Magellano, è uno di questi. 1973. Dopo il golpe di Pinochet in Cile, una trentina di dirigenti dell’Unidad Popular (la coalizione di partiti di centro-sinistra che sosteneva Allende) vengono trasferiti nel campo di concentramento di Dawson. La loro dignità dev’essere piegata e gli ufficiali del campo impongono che non esistano più nomi propri: ogni prigioniero si chiamerà con nome del capannone in cui dorme e un numero. Isla 10 è Sergio Bitar (Vicuna), ministro del governo Allende, che dopo un anno di reclusione venne liberato insieme ai suoi compagni con l’aiuto dell’Onu, della Croce Rossa e di leader come Ted Kennedy e che su quell’esperienza scrisse il libro da cui è tratto questo film.

Littin, istituzione del cinema cileno, due nomination all’Oscar nel 1976 e nel 1983, fa un film sulla memoria (che, dice, “non si restaura, si risveglia”) ma soprattutto sulla dignità umana, su come non perderla nemmeno nella disperazione, su come adoperarla per sopravvivere. C’è il documento storico, la ferita che quel golpe portò al sogno e alla Democrazia, rappresentato anche da documentari dell’epoca. E c’è la piccola storia di uomini colti, di pace e buon senso, privati della libertà e che lottano per conservare almeno l’umanità. Il tutto raccontato da una fotografia livida, di ghiaccio, come il clima dell’isola. Forse eccessivamente fredda, quando proprio un minore “distacco” intellettuale e un pizzico di didascalismo in più sarebbero serviti a conquistare lo spettatore. Sa.Sa.

THE CITY OF YOUR FINAL DESTINATION

Di James Ivory, Gran Bretagna 2007, (Hyde Park International)
Anthony Hopkins, Laura Linney, Charlotte Gainsbourg, Alexandra Maria Lara, Omar Metwally.

James Ivory torna con un film tratto da un libro dal titolo “Quella sera dorata” di Peter Cameron. Storia di un viaggio, il viaggio di un giovane americano di origine iraniana in Uruguay per raggiungere gli eredi di uno scrittore. Il giovane vorrebbe scrivere la sua biografia e per questo ha bisogno dell’autorizzazione della singolare famiglia allargata che vive in una decadente e sperduta tenuta. Il ragazzo (Omar Metwally) piomba all’improvviso ed incrina il fragile equilibrio del gruppo, formato da una moglie (Laura Linney), un’amante (Charlotte Gainsbourg), una bambina ed il fratello gay (Antony Hopkins) con suo compagno giapponese. Il microcosmo rimasto per anni protetto dalla normalità del mondo reale dovrà fare i conti con questo “corpo estraneo” che si troverà a mettere in discussione anche se stesso, le proprie certezze e le proprie aspirazioni.

“The city of your final destination” è una commedia garbata, dove i personaggi si rivelano mano a mano, negli incontri e negli scontri. Ivory ne dipinge con delicatezza i sentimenti e le passioni come in un quadro dalle tinte tenui ma variegate. E anche l’Uruguay, dove è girata la pellicola, diventa una terra da esplorare come l’animo umano.

"L'idea di realizzare un film in Sudamerica dove non sono mai andato – ha detto Ivory in conferenza stampa- mi affascinava molto e questo è uno dei motivi per cui ho deciso di fare questo film. Poi mi piaceva la storia, i personaggi così ben costruiti e caratterizzati” e aggiunge “Mi piace viaggiare, ho girato dappertutto per i miei film. Il fascino di un luogo sta tutto nel fatto che non lo conosco. Sono andato in America Latina per piacere". Ed infine parla dell'Italia, immortalata in tante pellicole letterarie, da Monteriano a Camera con Vista: "C'è un lungo rapporto e molti sentimenti positivi nei confronti con paese”. J.S.